Il futuro non fa parte del tempo.

Ballo al Moulin de la Galette, Pierre Auguste Renoir, 1876.

Ballo al Moulin de la Galette, Pierre Auguste Renoir, 1876.

Il futuro è presente in noi almeno 59 volte al giorno. Sono le volte che la nostra mente ogni giorno viaggia nel tempo alla ricerca di un futuro; il suo, quello di un caro, l’Indiana Jones o Lara Croft che vorremo essere per vivere chissà quale straordinaria avventura. Immaginiamo e costruiamo cosi il nostro futuro, che sia di 5 minuti o di 5 anni poco importa, almeno ogni 15 minuti, quando siamo svegli e senza disturbare Freud e il futuro che sta nei nostri sogni. Il futuro lo sogniamo, lo immaginiamo, anche lo temiamo perché immaginiamo cose che accadranno terribili e paurose. E le ricerche dicono che visitiamo futuri positivi tre volte di più di quelli negativi. Facciamo continue previsioni; se la mattina ci alziamo convinti di andare a fare la spesa porteremo con noi il portafoglio, pioverà domani, uscirà quest’inverno il nuovo Guerre stellari e con chi andrò a vederlo, riuscirò a cambiare lavoro.  Spesso nei nostri viaggi mentali nel futuro andiamo oltre. Entriamo nel film del nostro futuro, ci pare di viverlo, sembra accada, qui e ora. Siamo presenti nel futuro che immaginiamo. Ma spesso a tutto questo manca la capacità di trasformare sogni, immaginazioni e speranze in realtà. Non è un fatto solo contingente economico, di relazioni e di fortuna. Non siamo allenati a trasformare concretamente il futuro, a farlo diventare presente. Sembra tutto più grande di noi, sembra che troppi fattori più grandi ce lo impediscano. Molti studi con la risonanza magnetica funzionale hanno determinato che esiste  una “rete centrale” di regioni cerebrali coinvolta nella simulazione mentale sia delle cose che abbiamo già fatto sia delle cose che un giorno potremmo fare. I link cerebrali indicano che se manca il passato manca anche il futuro.  Siamo l’umanità che dimentica la storia e chi non ricorda il passato non può immaginare il futuro. Viviamo di immaginazione e di sogni, alcuni più degli altri, a questi cosi consegniamo il nostro futuro. E spesso sono altri che del nostro futuro poco importa. Il marketing, i media, i social, presto anche l’intelligenza artificiale e i big data con le loro analisi predittive. Lo costruiscono per noi, spettatori del nostro futuro. Si perché non basta immaginare il futuro per trovarlo tra 5 minuti o 5 anni cosi come lo avevamo pensato. E non serve nemmeno il sacrificio che continuano a domandarci di un lavoro 24h, di distruggere la natura, di vivere in una società e con una politica noiosa in nome di chissà quale futuro. Sono le promesse per abbagliare la nostra storia di un futuro che non vedremo mai. Conoscere le dimensioni del futuro sarebbe fatale. Conoscerne la fattibilità, amministrarlo  e pianificarlo pare un pensiero aperto al futuro invece è solo un modo per limitarsi al presente.  Non abbiamo bisogno di estrapolare il nostro futuro ma di anticiparlo magari tornando a considerare l’avvento che è un farsi vivo e presente, il qui e ora. Con l’avvento riscopriamo il significato del miracolo, l’immaginazione diventa prima sorpresa e poi presente. Cè bisogno di un’analisi nuova e eretica sul futuro del mondo.