Alla smart city serve donare il tempo

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La socievolezza e la cultura del stare insieme ha creato in Italia i borghi diventati spesso poi dimensioni urbane. Lo stare insieme, la solidarietà, lo sviluppo intorno alle abbazie, primi edifici di scambio e creazione, la prossimità e un pensiero comunitario e di mutuo soccorso sono la base della cultura dell’abitare umano e del fare polis. Da tempo questi costumi sono stati abbandonati e il tempo sociale e dell’abitare soprattutto nelle città è governato dal tempo produttivo che ha distrutto il tempo delle stagioni, dell’ambiente e dei nostri corpi. Arrivando all’estremo di ghettizzare nella città chi è fuori dal ciclo; cosi gli anziani sono relegati in qualche circolo e i bambini rinchiusi in spazi più o meno verdi. Tutto quello che non è ciclo produttivo vive una marginalità pesante, sospesa in non luoghi che non sono solo quelli commerciali di Augè ma anche le scuole, i parchi, e i circoli delle boccie o di lettura. E cosi vivere e occupare la strada, spazio straordinario di relazione e di incrocio di economia e di cultura, è diventato non solo pericoloso ma anche visto come un gesto anarchico, i reietti stanno in strada. Con il tempo sono arrivate nuove proposte per continuare a vivere questo loop perenne, di immersione nel sistema produttivo. Una ricerca della smart city è una di queste. Metodologie che spesso utilizzano i dati delle big company e delle multiutility e che sono dati che comunque i cittadini creano in funzioni delle scelte fatte dal sistema produttivo. E’ tempo di ripensare alla cura e alle relazioni dell’uomo certo anche attraverso lo studio e l’utilizzo dei dati ma non di questi dati.
C’è una grande narrazione portata avanti in questi ultimi venti anni nella Silicon Valley, dal mondo delle startup e da una parte dell’innovazione sociale che ha stravolto e distrutto il significato del Web riconducendo tutto il suo senso a quello di una proprietà individuale. Un racconto che di fatto ha privatizzato il Web tra una colpevole mondana propaganda, soprattutto in Italia, e una politica e una legislazione disattenta e inadeguata. Cosi come il sistema produttivo distorto di allora ha adattato e occupato lo spazio urbano alle sue esigenze da qualche tempo la Silicon Valley ci propone narrazione e dati che di nuovo stanno trasformando le nostre città lontano dal pensiero di comunità. Il web della Silicon Valley occupa anche le città perchè non solo di certi dati si muore, Amazon e Alibaba ad esempio stanno svuotando le nostre città con le loro tecnologie di ecommerce e di supply chain esasperate e i negozi incapaci e colpevoli di non essersi occupati di come pensare a un altro futuro liberano le vetrine diventando spazi grigi e vuoti se non per i colorati cartelli di affittasi e cedesi attività.
Una forte narrazione delle big company quindi che propone senso di comunità e vero amore anche se magari è pensato e progettato come un amore unidirezionale visto che alla fine dello scorso anno durante la giornata cinese dei cuori solitari Alibaba dopo una potente campagna marketing ha venduto in un giorno qualcosa come 24, 5 miliardi di dollari di merce. Certo anche questo è amore.
Abbiamo bisogno per le nostre città di un altro amore, di prendersi e prenderci cura riconoscendo la vulnerabilità che sta in ognuno creando cosi  le condizioni per avere relazioni tra di noi e con l’ambiente e distribuendo uniformante potere e denaro tanto da farne perdere di significato. Serve del tempo, da strappare anche a Alibaba e Facebook, tempo da passare insieme, tempo da condividere insieme nello spazio pubblico anche creando nuovi dati. E’ un buon metodo per creare altro tempo, un dono che facciamo e che aumenta il tempo dell’altro.