La smart city del 1600

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Le mura di Bologna e i suoi abitanti nel 1600 iniziarono a essere assediate dai cannoni. Le mura non erano costruite per resistere ai cannoni, erano circolari e continue disegnate cosi per riconoscere la circolarità divina della città del cielo e per affrontare scale e catapulte ma non i cannoni. Per questi era necessaria una smart muraglia, delle mura frastagliate, discontinue perchè cosi il nemico doveva ricorrere a più bocche di fuoco non potendo fare breccia in un unico punto. L’assemblea del popolo di Bologna si riunì decidendo in maniera partecipativa se mantenere le vecchie mura o costruirne di nuove secondo quello che la tecnologia proponeva. Le mura non vennero cambiate perché vinse la fazione popolare secondo la quale se l’uomo si fosse affidato alla nuova tecnologia delle mura frastagliate per difendere la città ne avrebbe con il tempo perso il senso civico, il senso dello stare insieme e di vivere la città sentendone l’anima. Non era una scelta saggia affidarsi solo alla tecnologia. Smart city, città intelligente. Ma è davvero quello che vogliamo? Cos’è la città? è un insieme di case, mura e strade, una urbs o asty in greco oppure è un’ insieme di persone, è una maniera per cui le persone provano a vivere bene insieme, una civitas, una polis. Gli edifici e le strade denotano una città ma non la caratterizzano, non la connotano. E cosi anche i dati, le app, le telecamere e i tecno entusiasti del momento, denotano una città ma non sono la sua anima e la sua coscienza. E’ una narrazione iniziata da Diderot nell’Encyclopedie che definisce la città come un insieme di case e strade, portata avanti dagli urbanisti agli inizi del ‘900 e che arriva fino ai nostri giorni con le smart city. Ma è la civitas di un luogo, l’insieme di regole, di costumi e di norme sociali che definiscono la città e ne denotano la natura. E’ provare a stare insieme. Non trovo Trento, Modena, Milano e tutte le altre città dove passo una parte del mio tempo particolarmente intelligenti anche se proprio domani a Trento inizia un fine settimana con un titolo poco umile, Trento Smart City; una città che si definisce intelligente non è un buon punto di partenza anche se la speranza è che la definizione sia per riconoscere la sua limitatezza. Per ora come tante, troppe città, è solo un’ accozzaglia di sensori, telecamere, applicazioni, dati e i fanatici delle smart city integrati nel tessuto urbano con i cittadini ormai destituiti civicamente e che pericolosamente interagiscono e usano esclusivamente oggetti smart, l’Internet of Things, regalando con felicità e spensieratezza i dati della loro vita come abbiamo letto nella cronaca di queste settimane. Dati che secondo una ricerca valgono qualcosa come 1800 sterline annue pro capite in Gran Bretagna, e cifre simili per l’Italia. Abbiamo già una smart city globale, è il Web e rafforzando la narrazione della smart city non facciamo altro che ridurre gli spazi che abitiamo fisicamente a delle succursali del Web anche queste in mano ai soliti noti Facebook, Google, Amazon e magari perché no Cambridge Analytica o qualcosa di simile. Città smart per i capitali e per nessun altro. Perchè l’urbe da sempre lavora per attrarre capitali, lavoro, interessi e affari; smart è solo un nuovo paradigma per arrivare a questo fine. Perchè mai dovrei chiedere like o partecipazione ai cittadini quando ho in mano, grazie ai dati che producono, tutto di loro con una politica che pedissequamente non fa nulla per capire e proporre e che invece mi permette di occupare spazio e tessuto cittadino applicando sensori, telecamere e succhiando dati. Le tecnologie applicata alle smart city così hanno fatto pensare ai sindaci di essere rieletti e ai cittadini di vivere una vita migliore, in un rinnovato senso di partecipazione alla vita e all’amministrazione della città, una città partecipata. Ma la partecipazione è un’altra grande illusione delle città intelligente, strumento spesso in mano a una politica che ha perso identità e anche le ultime elezioni italiane. La politica è la cura della città, è la coscienza della città ma lo stiamo dimenticando preferendo ricorrere alle smart city che ti fanno solo sentire un po’ stupido. D’altra parte non dobbiamo certo temere la tecnologia strumento fondamentale che aumenta il futuro a patto che sia il futuro della civitas e non dell’urbe intelligente. Serve una nuova dieta non solo mediatica ma anche di definizione e di cultura delle smart city e dei dati che produciamo. Non sono le cose e i dati che ci fanno intelligenti; le città sono intelligenti per le parole, le relazioni e la cura delle persone che le abitano, per il volto di una persona incontrata dietro l’angolo. Sono le città umane.

 

Da leggere se vi va:

“Geografia” di Franco Farinelli

“La città di Dio” Sant Agostino