La premessa è che il potere di chi sviluppa e detiene la AI è il problema principale, quello etico e tecnologico seppur importante seguono.
L’intelligenza artificiale è l’ennesima tecnologia, una nuova grande opportunità sviluppata dall’ingegno umano per aiutare la terra e tutti gli esseri viventi e non, umani, naturali, animali che la popolano. Il suo ecosistema che è sempre meno congruo a quello della terra per ora non è in equilibrio e porta grandi e numerosi problemi.
Non è in equilibrio, né dal punto di vista della sostenibilità ambientale e sociale né del potere di chi la sviluppa e la detiene. Il suo potere concentrato nelle mani di pochi è enorme, è necessario creare nuovi poteri di bilanciamento. Ci sono dei metodi da ricercare per arrivare a un equilibrio; il potere collettivo dei dati digitali personali è uno di quelli.
Si tratta allora di distribuire la governance e il potere dell’ecosistema della AI alle comunità; ma non solo, si tratta di ricercare nuove forme di potere e se necessario di crearle. Potremo iniziare dai dati. Gran parte dell’attuale sviluppo e dei risultati dell’AI dipende fortemente dai dati, anche se esistono aree e approcci all’interno dell’AI che possono funzionare con dati limitati o nessun dato preesistente. La AI, in particolare nei modelli di machine learning e deep learning, dipende dai dati per apprendere, per migliorare le prestazioni, per essere personalizzata e per essere validata; senza i dati la AI è poca cosa.
Nell’era dell’informazione e dell’intelligenza artificiale, la gestione e l’utilizzo dei dati e dei contenuti sono questione di primaria importanza, anche perché́ coinvolgono una vasta gamma di stakeholder, persone, aziende, autori, sviluppatori e pubblica amministrazione. Molti modelli di intelligenza artificiale utilizzano grandi quantità di dati, video, testo e audio per addestrarsi/allenarsi. I dataset per ora sono poco conosciuti e poco si sa sul loro contenuto; quel che è certo è che i dati sono utilizzati in maniera estrattiva dalle AI.
La cronaca nei primi mesi del 2024 racconta di tentativi di accordi tra i produttori di AI e i produttori di contenuti per l’utilizzo di conoscenza “umana” a disposizione per allenare la AI. La cronaca racconta di cause intentate dagli uni e dagli altri per violazione del copyright, del diritto d’autore, della proprietà̀ intellettuale e del segreto industriale. È chiaro che tutti i giocatori di questa partita devono essere riconosciuti e valorizzati. L’obiettivo della proprietà collettiva dei dati digitali è creare un ecosistema proattivo e sostenibile che fornisca accesso a dati di alta qualità, opportunità di monetizzazione per la collettività e le comunità che contribuiscono al metodo di creare una proprietà collettiva dei dati raggiungendo e garantendo anche la trasparenza e il rispetto dei diritti d’autore attraverso meccanismi di tracciabilità e contrattualizzazione.
Definire i dati personali come bene collettivi è una delle soluzioni da ricercare per riequilibrare l’ecosistema della AI. La forza e il potere di una proprietà collettiva stanno nella sua capacità di promuovere una gestione deliberativa, garantendo la sostenibilità a lungo termine delle risorse, fornendo resilienza economica e sociale, prevenendo la sovrautilizzazione e il degrado delle risorse, stimolando l’innovazione e la condivisione delle conoscenze per supportare l’equità e la giustizia sociale, e rafforzare il senso di comunità e appartenenza tra i membri.
Ora definiamo chi gestisce la proprietà collettiva dei dati digitali delle persone. Fino al secolo scorso, i corpi intermedi (come partiti politici, sindacati, associazioni, chiese, e altre forme di organizzazione collettiva) hanno giocato un ruolo cruciale nel mediare i rapporti tra l’individuo e le strutture di potere (stato, mercato, istituzioni). Questi corpi hanno contribuito a rappresentare e difendere gli interessi collettivi, facilitando il dialogo e l’integrazione tra le diverse parti della società. Impossibile qui ricordarli ancora ma è possibile immaginare oggi un nuovo corpo intermedio?
Non tra Stato e popolazione ma tra Stato, la governance della AI e le comunità. La creazione di un nuovo corpo intermedio dedicato a traghettare la governance dell’intelligenza artificiale verso un senso di bene comune tra il benessere sociale e l’equilibrio ecologico. Non si tratta dunque di sostituirsi al potere ma di distribuirlo e di crearne di nuovi. Il potere dei dati digitali è uno di questi nuovi poteri. Il modello delle DAO (Decentralized Autonomous Organization) è un metodo, certo non l’unico, che si può considerare per organizzare questa nuova proprietà collettiva. Il modello olonico, che ha molto punti in comune con le DAO è un altro. Arthur Koestler definisce gli oloni come un insieme di cellule che agiscono in modo autonomo, pur essendo orientate al raggiungimento di un obiettivo condiviso di ordine superiore. Un ecosistema olonico, collaborativo, distribuito e progettato per organizzare, valorizzare e ricompensare il potere dei dati collettivi della comunità.
Ma prima ci sono degli elementi fondativi a prescindere dal metodo e dal sistema che si vuole considerare. Ci sono valori e virtù su cui fondare questo nuovo corpo collettivo fatto da donne e uomini di buona volontà. I valori della cooperazione, il mutuo soccorso, la reciprocità e la sussidiarietà.
Un ecosistema di comunità, con poteri distribuiti, alla ricerca della giustizia sociale, senza confini e con sistemi partecipativi e deliberativi che tutelino l’umanità, la spiritualità, la democrazia e la sua evoluzione in reciprocità con la natura.
Il contenuto è un breve estratto di un paper scientifico in open access di prossima pubblicazione per l’Università Pontificia di Scienze dell’Educazione