All’Institute for the Future non fanno previsioni: «C’è una legge fondamentale degli studi sul futuro: non esistono fatti del futuro. Solo narrazioni»
Il futuro è una declinazione dell’essere. Futurum deriva da fuo, io sarò, e corrisponde al greco Phuo e al suo sostantivo Physis. Physis è ciò che fa nascere, il “grembo” da cui nascono tutte le cose. Ma futuro sta anche per adventus. Così il futuro significa l’arrivare e il farsi presente; il futuro come futurum viene estrapolato, il futuro invece come adventus viene anticipato. Provando così a mettere in salvezza non solo la storia del mondo ma anche alcune culture sudamericane che hanno un’idea particolare di passato e futuro: il passato sta avanti, perché è conosciuto e lo posso vedere mentre il futuro, sconosciuto, arriva pericolosamente alle spalle; ma solo se non lo immaginiamo.
Roberta Terzi studia la storia, che è lo studio non solo del tempo passato ma anche di quello futuro. I suoi esercizi di futuro non spostano, come fanno le moderne ideologie del futuro, l’immaginare e il fare collettivo a un futuro in sospeso nel tempo costringendo la generazione presente, alienandola, a sacrificarsi per un futuro utopico di cui nulla vedrà e nulla verrà a sapere ma provano a anticiparlo, secondo il principio, che qui non è solo teologico, dell’avvento.
Gli esercizi non servono a prevedere il futuro, servono per prendere decisioni più consapevoli, insieme. Così le ho chiesto, e la ringrazio per questo, di raccontarli qui.
Esercizi di futuro
di Roberta Terzi
Proprio in questi giorni mi è capitato di leggere “La sesta estinzione. Una storia innaturale” di Elizabeth Koblbert che termina osservando che “proprio ora, in quel magnifico momento che è per noi il presente, ci troviamo a decidere, senza quasi volerlo, quale percorso evolutivo rimarrà aperto e quale invece verrà sbaratto per sempre” e continua osservando che “nessun’altra creatura si è mai trovata a gestire nulla di simile, e sarà, purtroppo il lascito più duraturo della nostra specie”.
Va da sé che il futuro, o meglio le traiettorie dei possibili futuri, dovrebbero rivestire per l’umanità tanto una necessità che un obbligo. Per dirla con la famosa frase di Groucho Marx “a me interessa il futuro, è lì che passerò il resto della mia vita”.
Il passato da solo non basta più per capire cosa fare nel presente. Occorre fare un salto temporale in avanti, anche di 20 o più anni, visualizzare i problemi e le opportunità che possono emergere e tradurli in scenari che aiutano a capire le opzioni che abbiamo a disposizione. Oggi vale lo stesso discorso che un tempo si faceva sulla memoria e sul passato: chi ha l’egemonia e governa il futuro può manipolare il presente. Da qui l’importanza di avere leve concettuali e strumenti per preparaci al cambiamento per decolonizzare il futuro e restituirgli il suo ruolo di pagina bianca su cui scrivere insieme in modo partecipato, perché deve essere una visione quanto più collettiva.
La narrazione collettiva è che la tecnologia ci stia aiutando a cambiare il mondo e che lo stia facendo in modo molto veloce, cioè che porti le risposte in modo deterministico. Il futuro non sono le nuove tecnologie, non è la casa smart o gli occhiali per realtà virtuale, perché è molte altre cose. I recenti progressi nella comprensione della complessità, dell’incertezza e dell’emergenza hanno aperto nuovi modi di definire e utilizzare il futuro. La domanda, quindi, non è come far fronte a un universo che sembra diventare più complesso, ma come migliorare la nostra capacità di sfruttare l’emergere di novità che ci ha sempre circondati. Gli “esercizi di futuro” potrebbero essere nuovi strumenti di governance utili per intuire quello che potrebbe accadere domani.
“Lavorare con il futuro – come scrive il prof. Roberto Poli, autore dell’omonimo libro – non significa infatti “prevedere ciò che accadrà – per fortuna il mondo è sempre più ricco e sorprendente dei nostri modelli – quanto l’essere aperti, pronti alle sorprese e l’approntarsi a gestirle”. Le persone si sforzano naturalmente di guardare avanti, cercando di comprendere i problemi che possono incontrare e le sfide che dovranno affrontare: l’elemento principale del “pensare al futuro” è sviluppare migliori capacità di gestione del rischio, dell’inatteso, del contingente susseguirsi di eventi. L’innovazione è oggi un fatto culturale, prima ancora che tecnologico, con importanti impatti sociali tanto sulle persone che sui luoghi. Lo studio dei futuri o Futures Studies, è fin dagli anni Sessanta al centro del lavoro dell’UNESCO; attualmente sono 35 le Cattedre UNESCO a livello globale incentrate sul tema. L’Italia è al momento rappresentata dalla Cattedra in Anticipatory Systems presso l’Università di Trento del prof. Roberto Poli. È un’attività complessa con molte dimensioni, che necessita di acquisire nuove skill e potenziare abilità sopite che consentano prima di tutto di superare i condizionamenti cognitivi , i c.d. bias, che ci ancorano al presente e ci impediscono di avere un’attitudine mentale aperta, disincantata e disponibile ai cambiamenti. Ogni esercizio di futuro deve produrre “anticipazione” orientata all’azione: cerco di prevedere per meglio agire in futuro e/o indirizzare il mio presente verso il futuro da me desiderato.
Parliamo anche di pensiero prospettico, ovvero di quell’atteggiamento mentale che guarda a quello che verrà con un approccio multidisciplinare aperto anche al concetto di “sorprese”, ovvero all’idea della discontinuità, che è un elemento tipico del futuro, e che non si può intercettare con i metodi previsivi tradizionali. Anche la Commissione europea, con la presidente Ursula von der Leyen, ha istituito per la prima volta una vice-presidenza dedicata all’anticipazione strategica (Foresight) con l’incarico di aiutare la Commissione a ragionare sul futuro. È un precedente istituzionale di non poco conto, che dovremmo tenere presente. Sempre più determinate quindi la necessità di allenare nuove capacità per comprendere il futuro e usarlo nelle strategie del presente.
Una delle sfide del secolo in cui siamo da poco entrati sarà quella di ricomporre la frattura tra le discipline scientifiche e artistiche, tra le scienze della natura e le scienze dello spirito, ricomponendo così nello stesso tempo un’idea coerente e unitaria dell’essere umano, composto di corpo, anima e spirito, fornendo alla medicina, all’educazione, al welfare, alle scienze sociali ed economiche leve nuove, strumenti innovativi di pensiero e azione concreta. Da qui è nato un esercizio di futuro con un’istituzione culturale, la Fondazione Haydn. Immaginare, comprendere e descrivere l’evoluzione desiderabile di un’orchestra risulta pertanto un interessante e coerente campo di sperimentazione di un esercizio di futuro.Perché la Fondazione Haydn di Bolzano e Trento? In virtù del ruolo sociale, di bene comune ricco di contenuti sociali e spirituali a disposizione della comunità, la Haydn come le altre ICO, Istituzioni Concertistico Orchestrali devono essere messe nelle condizioni di agire quali “costruttori di senso collettivo”. Costituita nel 1960 sia come punto di riferimento regionale per l’ascolto e l’educazione musicale che come ambizioso progetto per inserire il Trentino-Alto Adige nelle reti culturali europee e internazionali. Dalla forte identità, un vero perno culturale tra est e ovest, tra Europa e Mediterraneo. Per rispondere alla domanda relativa all’obiettivo a cui si voleva tendere – comprendere e descrivere l’evoluzione desiderabile dell’orchestra della Fondazione Haydn di Bolzano e Trento al 2035 – sono stati messi in campo due degli strumenti della casetta degli attrezzi degli studi di futuro, le Interviste strategiche e il metodo Three Horizons (3H) a completamento di quanto emerso dall’analisi di megatrend e di letteratura di settore, utile a fornire elementi interessanti sulla situazione attuale e a prefigurare alcuni scenari per il 2035. Grazie alla disponibilità del board, in primis del Presidente Gasser e del Direttore Loss, e di tutte le splendide persone della Fondazione e dell’Orchestra sono emersi sorprendenti scenari e linee evolutive. A solo titolo esemplificativo, mi fa piacere condividere a mio avviso le più significative: L’orchestra non deve soltanto offrire risposte ma porre anche domande; È un organismo vivente e come tale ha bisogno di nutrirsi di idee, di utopie, di progetti che devono avere un’arcata temporale estesa e un ampio respiro;
I percorsi per raggiungere l’orizzonte desiderato sono molteplici e articolati ma ogni istituzione deve stabilire le proprie strategie di movimento e di sviluppo. Strategie sensibili che tendono l’orecchio alle peculiarità del territorio socio-culturale in cui l’istituzione vive. L’obiettivo di un’orchestra non è la conservazione del pubblico ma l’evoluzione di un pubblico anch’esso sensibile ai cambiamenti del linguaggio musicale. Immaginare vividamente degli scenari futuri aiuta a sviluppare la creatività, permette di affrontare le sfide sentendosi più padroni della situazione e contribuisce a sviluppare l’agentività, che ci rende in grado di agire concretamente per plasmare il mondo in cui vogliamo vivere.
Non esistono ovviamente ricette, linee guida, formule sicure per affrontare i futuri che ci si presenteranno, ma possiamo sviluppare capacità e punti di vista che aiutano a meglio affrontare le sfide, nei contesti di vita sociale e lavorativa che ci vedono coinvolti. “Il futuro influenza il presente tanto quanto il passato” come ricorda Nietzsche.
Foto di Valerio Oss, Waco Texas, 8 aprile 2024