L'albero della Vita. Gustav Klimt, Museum of Applied Arts, Vienna, Austria

Per un’intelligenza artificiale bene comune.

La AI ormai ha invaso il pianeta. Dalla geosfera, alla biosfera, all’atmosfera, alla noosfera siamo ora nella AIsfera. La nuova tecnologia non intelligente ma certamente artificiale, e che pure nuova non è perché si è iniziato a ricercare  in questo campo alla fine degli anni ’50 in piena guerra fredda quando le parole come intelligenza artificiale dovevano essere grandi senza esserlo veramente per preoccupare, occupa la discussione dall’economia alla finanza, all’ambiente, le imprese e la scuola, la geopolitica, la filosofia, la teologia e l’etica. Siede con i suoi algoritmi nei consigli di amministrazione delle aziende, scrive le sentenze insieme ai giudici degli  Stati Uniti, aiuta nella ricerca scientifiche, è nell’Industria 4.0, in agritech, detta il nostro comportamento nei social. È una tecnologia, o meglio un insieme di tecnologie, che arriva dopo molte altre. Come la plastica, il cemento, strumenti straordinari e fondamentali per lo sviluppo dell’umanità; certo senza renderci conto di come le stavamo usando, dei danni che abbiamo procurato al pianeta e al suo ecosistema, ci siamo ritrovati nella triste epoca dell’Antropocene che ormai tutti conosciamo. E come per la plastica e il cemento possiamo usare un’altra volta la metafora dell’ecologia.

L’ecosistema della AI per ora non è in equilibrio, ne dal punto di vista della sostenibilità ambientale, ne della giustizia sociale. 

Non lo è per l’estrazione degli elementi che compongono l’hardware sui cui la AI gira. Le terre rare sono la base su cui la AI si fonda. Prendete una CPU, un hard disk e un monitor su cui girano gli algoritmi: la quasi totalità dei metalli rari vi è presente. Le batterie sono fatte di cobalto, estratto nella Repubblica Democratica del Congo, nella parte elettronica ci sono il gallio, proveniente dalla provincia del  Fujian (sud della Cina), poi il tantalio che viene estratto in gran parte in Mozambico e il gadolinio, probabilmente di origine brasiliana. Poi sul monitor ittrio, indio e disprosio. Africa e Cina le terre dove si estrae. Le terre rare. E l’estrazione delle Terre Rare presenti in concentrazioni ridotte nella superficie terrestre ha dei costi economici e ambientali molto alti. In Europa insostenibili soprattutto per le norme sulla difesa dell’ambiente. E senza le Terre Rare non ci sarebbero nemmeno le pale eoliche, i pannelli solari ne le auto elettriche. Ma a che costo? Come essere lungimiranti nel loro utilizzo?

L’ecosistema dell’Ai non è in equilibrio nemmeno per il consumo dell’acqua. Ricerche calcolano che ogni 20 domande circa per le risposte la AI consuma mezzo litro di acqua potabile, moltiplicate poi per qualche miliardi di domande al giorno. Una ricerca della California Riverside University  studia che nel 2026 la AI consumerà circa 5 miliardi di metri cubi d’acqua. Il Lago di Garda, il più grande lago d’Italia, ha un volume di circa 50,35 miliardi di metri cubi, quindi 5 miliardi di metri cubi rappresenterebbero circa il 10% del suo volume totale. Cinque miliardi di metri cubi d’acqua sarebbero poi sufficienti a soddisfare il fabbisogno idrico annuale di circa 3,6 milioni di persone (dato che varia notevolmente da paese a paese). La California, uno stato noto per i suoi intensi bisogni idrici a causa dell’agricoltura e della popolazione, utilizza circa 40 miliardi di metri cubi d’acqua all’anno. Così, 5 miliardi di metri cubi rappresenterebbero più o meno l’12,5% del consumo annuale dello stato. E cosi via.

L’ecosistema della AI non è in equilibrio nemmeno per il consumo energetico. Alla riunione annuale del World Economic Forum 2024 a Davos, in Svizzera, Sam Altman, il CEO di OpenAI, sviluppatrice di ChatGPT, ha avvertito che la prossima ondata di sistemi di intelligenza artificiale generativa consumerà molto più energia del previsto e che i sistemi energetici faranno fatica a farvi fronte. “Non c’è modo di arrivarci senza una svolta”, ha detto. 

L’ecosistema della AI non è in equilibrio nemmeno per il potere di chi la pensa e di chi la sviluppa. Il controllo e il potere nell’ambito dell’intelligenza artificiale sono attualmente oggetto di una competizione globale; con 5 massimo 10 attori chiave che emergono a livello internazionale. “ Se si vuole comprendere il mondo, bisogna determinare la gerarchia delle forze, delle correnti e dei movimenti individuali, e poi metterli insieme per formare una costellazione complessiva” scriveva lo storico francese Fernand Braudel.

La narrazione di questi potenti è enormemente più potente di qualsiasi altra. E la narrazione racconta che stiamo facendo grandi passi verso un futuro migliore grazie alla AI, senza precedenti. L’oligarchia dominante nel campo della visione tecnologica ha guadagnato grande influenza grazie al suo notevole successo commerciale e viene sostenuta da una narrazione accattivante che promette abbondanza e dominio sull’ambiente attraverso le nuove tecnologie, specialmente grazie al potenziale esponenziale dell’intelligenza artificiale. Questi oligarchi moderni possiedono un tipo di carisma particolare, forse persino”nerd”, e riescono a esercitare un’attrazione irresistibile sui principali formatori di opinione pubblica: giornalisti, leader industriali, politici, accademici e intellettuali. Questo gruppo è sempre in prima linea, sia che si trovi fisicamente attorno a un tavolo di discussioni, sia che la sua voce si diffonda attraverso i media, specialmente in occasioni di dibattiti su temi rilevanti. Ma nonostante questo ottimismo, la storia degli ultimi mille anni mostra che nuove invenzioni non hanno sempre portato a una prosperità diffusa. Sebbene oggi viviamo in condizioni molto migliori rispetto ai nostri antenati, con un tenore di vita più elevato anche per i più poveri, una vita più lunga e più sana e con comfort un tempo inimmaginabili, il progresso tecnologico da solo non ha garantito automaticamente questa prosperità. Quest’ultima si è realizzata solo quando la direzione dello sviluppo tecnologico e l’atteggiamento sociale verso la distribuzione della ricchezza si sono allontanati dagli interessi di una ristretta elite.

Oggi, in tutto il mondo, la vita della maggior parte delle persone è migliorata rispetto a quella dei propri antenati. Questo miglioramento è stato possibile grazie all’organizzazione e alla contestazione, da parte dei cittadini e dei lavoratori delle prime società industriali, delle decisioni prese dalle élite riguardo alla tecnologia e alle condizioni di lavoro, ottenendo così una distribuzione più equa dei benefici derivanti dai progressi tecnologici. Per sviluppare un approccio alla tecnologia che sia nuovo e più inclusivo, è fondamentale modificare le strutture di potere sociale. Questo richiederà, come accaduto nel XIX secolo, la nascita di nuove argomentazioni e organizzazioni capaci di sfidare le idee dominanti. Oggi, mettere in discussione la visione prevalente e ridurre l’influenza di una ristretta élite sullo sviluppo tecnologico può sembrare un compito ancora più arduo rispetto al passato. Tuttavia, questo processo è indispensabile e urgente, proprio come lo era allora. Nonostante le promesse che le innovazioni tecnologiche porterebbero a una maggiore prosperità condivisa, mille anni di storia dimostrano che questo non avviene automaticamente ma richiede decisioni consapevoli e politiche mirate. L’idea che l’aumento della produttività dovuto all’innovazione tecnologica si traduca automaticamente in salari più alti per tutti è messa in discussione dall’evoluzione economica e sociale. La crescita della produttività non implica necessariamente una maggiore domanda di lavoro. La distinzione tra produttività media per addetto e produttività marginale è cruciale: mentre la prima può aumentare grazie all’automazione, la seconda, che rappresenta il vero motore dell’occupazione, può rimanere stagnante o diminuire. 

Questa situazione sottolinea un problema fondamentale: molte tecnologie moderne tendono per ora e probabilmente nei prossimi 10 anni come afferma Mustafa Suleyman, uno dei grandi guru della AI, a sostituire il lavoro umano anziché complementarlo, causando un aumento della produttività media ma non necessariamente della produttività marginale e, di conseguenza, dell’occupazione. L’esperienza storica dimostra che senza politiche attive e scelte consapevoli, i benefici del progresso tecnologico rischiano di essere distribuiti in modo diseguale, aumentando la disuguaglianza anziché contribuire a una prosperità diffusa. Il potere sociale quindi influisce su ogni aspetto della nostra esistenza, con effetti evidenti sulla direzione del progresso tecnologico. Le innovazioni come dicevamo non apportano benefici automaticamente a tutti, anche se possono sembrare orientate al bene comune. La direzione dell’innovazione è spesso guidata dagli interessi di pochi, con i maggiori vantaggi che tendono a fluire verso questi individui. Per modellare un futuro più equo, è fondamentale creare quindi contropesi, assicurando che una varietà di voci, interessi e prospettive sia rappresentata e possa influenzare la visione prevalente. Attraverso lo sviluppo di istituzioni che aprano il dibattito a un numero maggiore di persone e permettano a idee diverse di emergere e di contribuire alla definizione delle priorità; possiamo interrompere il controllo esclusivo esercitato da alcuni su questi processi.

L’ecosistema della AI deve tendere all’equilibrio. Fino al secolo scorso, i corpi intermedi (come partiti politici, sindacati, associazioni, chiese, e altre forme di organizzazione collettiva) hanno giocato un ruolo cruciale nel mediare i rapporti tra l’individuo e le strutture di potere (stato, mercato, istituzioni). Questi corpi hanno contribuito a rappresentare e difendere gli interessi collettivi, facilitando il dialogo e l’integrazione tra le diverse parti della società. Impossibile qui ricordarli storicamente ancora ma è possibile immaginare oggi un nuovo corpo intermedio? Non tra Stato e popolazione ma tra AI e Stato. La creazione di un nuovo corpo intermedio dedicato a traghettare la governance dell’intelligenza artificiale verso un senso di bene comune. Non si tratta certo di sostituirsi al potere ma di distribuirlo. Questo organismo, avrebbe il compito di mediare l’interazione tra lo sviluppo tecnologico avanzato e le politiche governative, assicurando che l’innovazione proceda di pari passo con il benessere sociale e l’equilibrio ecologico. Ci sono valori e virtù su cui fondare questo corpo fatto da donne e uomini di buona volontà. I valori della cooperazione, il mutuo soccorso, la reciprocità e la sussidiarietà. Ci sono le virtù, saggezza, giustizia, misericordia, carità, pazienza e temperanza e speranza. E poi ci vuole un po’ di intelligenza artificiale, bene comune.

Abbiamo parlato di tutti questi temi e molto di più nei giorni scorsi all’interno del progetto “AI, bene comune?” della Federazione Trentina della Cooperazione. Il mondo cooperativistico è uno dei luoghi importanti dove ricercare e sviluppare un’intelligenza artificiale bene comune. Il primo organo di questo nuovo corpo intermedio. Qui la pagina dell’evento. Grazie alle relatrici, relatori e grazie alle cooperative.