Be my AI, la mia intelligenza artificiale.

In una vasta terra, dove le tradizioni e la modernità si intrecciano come fili di un tessuto antico e ricamato con nuove sfumature, più del 95% degli adulti in India si affida a un’entità creata dall’uomo chiamata Aadhaar. Un nome che evoca un senso di riconoscimento, di identità, di appartenenza a una rete intricata di servizi e benefici. Aadhaar, il sistema di identificazione biometrico basato sulla AI creato dal governo indiano, non è solo una chiave virtuale per l’accesso ai generi alimentari, alle iscrizioni, ai benefici finanziari e a tanto altro; è il filo sottile che collega le vite di milioni di cittadini, un filo che si snoda attraverso il tessuto stesso della società.

Eppure, tra le linee di codice e i circuiti elettronici, si celano molti dilemmi. L’intelligenza artificiale, da una parte, offre vantaggi straordinari, aprendo nuovi orizzonti di possibilità. Ma, come un’ombra che si allunga al tramonto, ci sono anche rischi in agguato. Nei villaggi remoti, dove la tecnologia si scontra con la realtà quotidiana, il sistema di Aadhaar talvolta vacilla, e le persone rimangono senza cibo per lunghi mesi. Ma Aadhaar fa molto di più, decide la reputazione delle persone e quando la reputazione diventa il metro di misura, il pericolo cresce ancora di più. A questo link potete vedere il video di presentazione di Aadhaar. In una dimora, una nonna avvolta nei colorati abiti tradizionali dell’India, il suo piccolo nipotino cullato tra le braccia, la figlia che sembra aver abbracciato la cultura occidentale, e una baby sitter desiderosa di prendersi cura del bambino. Tuttavia, la nonna nutre dubbi riguardo alle parole della baby sitter, un’amica di una vicina, una persona che ha dedicato la vita all’educazione e al lavoro di assistenza infantile. Nonostante tutto ciò, è solo l’intervento del cyber umano oracolo Aadhaar a convincere la nonna a affidare il suo prezioso nipote alle amorevoli braccia della baby sitter.

Il secondo video mostra le potenzialità della AI nella nostra terra, una volta delle meraviglie, e c’è qualcosa di altrettanto straordinario, un’innovazione che dà un’opportunità alle persone ipovedenti. Si chiama “Be my Eyes”, un’app che utilizza l’intelligenza artificiale per dare una mano a quei 31 milioni di ipovedenti sparsi per il mondo. Nelle mani di chi non può vedere, questa app diventa una guida. E è fatta al 100% dalla AI fatta dall’uomo.

Rischi e opportunità. In questa epoca dominata dall’intelligenza artificiale, come affermava il grande Stefano Rodotà, non siamo più solo ciò che diciamo di essere, ma ciò che i motori di ricerca ci dicono di essere. È una verità che si fa sempre più pressante, mentre ci avventuriamo nel territorio inesplorato dell’IA.

Ci attende un lungo cammino di scoperta, un viaggio che abbiano intrapreso ormai molti anni fa attraverso le intricate strade dei social media, ora la strada verso  l’intelligenza artificiale. Dovremo imparare a conoscerle, a comprendere la sua complessità. Come ogni nuova tecnologia che irrompe nella nostra vita con impeto, ci spaventa e ci affascina in egual misura. Fu così quando la scrittura fu introdotta e i filosofi temevano che essa cancellasse la memoria umana. Fu così con Gutenberg e la stampa, e successivamente con il computer e il mondo digitale.

Dovremo, inoltre, affinare la nostra capacità di immaginazione, esplorando come queste tecnologie possano servire l’umanità e il nostro pianeta senza arrecare danni irreparabili. Come la tecnologia della plastica e del cemento, sono opportunità e maledizioni al contempo, capaci di portare beneficio e distruzione in forme impensabili.

Ma c’è una sfida ancora più grande, un ponte da costruire tra umanisti e postumanisti, tra visioni divergenti di un futuro migliore. In fondo, la democrazia è il nostro modo di sederci attorno a un tavolo e discutere come vogliamo plasmare il nostro destino. In questo compito, l’intelligenza artificiale può diventare un nostro prezioso alleato.

L’illustre storico israeliano Yuval Noah Harari immagina l’IA come il nostro primo incontro con un “alieno”, una forza che guiderà il futuro dell’umanità quando raggiungerà la singolarità, la capacità di prendere decisioni autonome e di autogenerarsi. Tuttavia, non possiamo trascurare il fatto che dietro questa IA ci sono uomini e donne che creano i microprocessori, estraggono, purtroppo in maniera ancora colonizzante, le terre rare e minerali preziosi per i componenti digitali e sviluppano gli algoritmi e alimentano la conoscenza da cui essa trae nutrimento. Cos’è di alieno in tutto ciò?

Eppure, nell’oscurità delle ‘scatole nere’, le AI elaborano dati in modi che spesso ci sfuggono. Il processo di apprendimento automatico è simile alle sinapsi del cervello umano, ma le somiglianze si dissolvono quando confrontiamo il modo in cui un bambino di quattro anni riconosce un cavallo con la necessità della IA di migliaia di immagini. La verità è che l’IA è una macchina priva di coscienza, priva di ragionamento, che si basa su statistiche per predire risposte, talvolta sbagliando così tanto da produrre allucinazioni anziché spiegazioni valide.

L’IA solleva anche interrogativi sociali ed etici fondamentali. Sostituirà posti di lavoro e genererà disoccupazione? Le professioni tradizionali come avvocati e medici vedranno una trasformazione profonda. E poi i dati, dovremo agire con responsabilità, evitando di sfruttare i dati dei paesi del sud del mondo in modo estrattivo, come colonizzatori digitali. E poi AMA, gli agenti morali artificiali, ad esempio i droni che uccidono con la loro etica, che poi è sempre la nostra.

Il destino dell’IA è attualmente nelle mani di poche grandi aziende, le 8 sorelle che detengono un potere economico paragonabile a interi paesi. Determinano come si sviluppa e in quale direzione. È giunto il momento di ricondurre l’IA bene comune, in modo che le decisioni non siano basate solo sul profitto, ma sulla visione di un futuro condiviso.

La partecipazione attiva alla creazione dei modelli sociali e dell’IA è essenziale. Questo richiede un lungo percorso culturale ed educativo, un impegno profondo. L’educazione, parola benché spesso abusata e sottovalutata, rappresenta l’inizio della costruzione di un modello in cui utilizziamo la tecnologia in armonia tra gli esseri umani, prima ancora che con le macchine. Così, in un mondo sempre più interconnesso e dominato dall’IA, si staglia una sfida enorme: plasmare il futuro in modo condiviso, mettendo l’umanità al centro dell’innovazione tecnologica e dell’intelligenza artificiale. Ripartire dalla reciprocità, in un grande ecosistema di giustizia sociale e ambientale, tra l’umanità e l’umanità.

Testo della presentazione del percorso AI e educazione presso l’Università Pontificia Auxilium a Roma.