Una nota azienda pochi mesi fa ha presentato lo spazzolino da denti interattivo, non ti lava i denti da solo ma è collegato al tuo telefono e ti dice quali denti hai lavato o meno, se stai facendo troppa pressione, se ti sei risciacquato per bene. I frigoriferi mandano email e ti dicono cosa hai mangiato e quando andare a fare la spesa e saranno presto in vendita. Gli esperti chiamano tutto questo l’internet delle cose. Significa che sempre più oggetti, con dei sensori, sono collegati in internet. E spesso sono oggetti che utilizziamo tutti i giorni. Pneumatici, termostati, scaffali, parcometri, carrelli della spesa, (questi li fanno in una coraggiosa e innovativa azienda trentina) e tanto altro. Talmente tanto che stime recenti dimostrano che ogni secondo nel mondo si connettono a Internet 80 nuovi oggetti. 50 miliardi di oggetti, ma è una stima al ribasso, nel 2020, circa il 3% di tutti gli oggetti esistenti. Tutto questo a prima vista può sembrare solo una cosa divertente o poco altro ma non è così.
Ogni gesto che facciamo nell’epoca digitale ha un valore anche economico. Passare con l’auto sotto il telepass, dare la tesserina fedeltà al supermercato, entrare in un negozio, camminare in un incrocio di una via del centro, scrivere su Facebook. Tutte questi dati diventano informazioni e valgono miliardi per le aziende. Fino ad oggi tutti questi dati aumentano il fatturato delle grandi aziende che ne dispongo e li rivendono ma sta nascendo un nuovo mercato.
I servizi per la gestione delle informazioni personali. Un recente studio nel Regno Unito ha valutato che servizi preposti a aiutare le persone a raccogliere e gestire i propri dati costituirebbero circa 21 miliardi di euro, circa l’1,2 % dell’economia del paese. I servizi servono per raccogliere, memorizzare, gestire, utilizzare e condividere i propri dati sotto il proprio controllo per rendere migliore la vita e le decisioni di acquisto. I costi di raccolta, della conservazione, dell’uso e della distribuzione delle informazioni sono in calo rispetto ai costi di qualsiasi altra merce nella storia. Siamo ormai nella terza rivoluzione non industriale ma della conoscenza. Da una parte il sistema capitalistico ormai nella sua fase calante e dall’altra le informazioni, bene comune e condivise. Oggi più di 2 miliardi di persone creano e mettono online grazie ai loro cellulari e ai loro computer una massa incredibile di informazione, il tutto a costo marginale quasi zero. E stanno arrivando le stampanti 3D e le persone già vendono energia elettrica verde a costo marginale quasi pari a zero e cosi in tanti altri settori. Una parte sempre più grande di servizi e beni che costituiscono la vita economica sono a costo marginale zero quindi praticamente gratuiti.
E’ anche per questo che da qualche parte c’è qualcuno disposto a pagare per conoscere la canzone che cantiamo sotto la doccia. Se Google e Facebook riempiono la nostra vita di sensori è evidente che saranno loro a avere tutte le informazioni possibili. Google ha superato in investimenti tutte le aziende automobilistiche per studiare e produrre l’automobile senza conducente. Tra non molto queste auto saranno sul mercato a un prezzo irrisorio. Con un piccolo particolare. Sul tetto avranno un apparecchio che fotograferà ogni cosa in tempo reale durante i nostri spostamenti. Google quasi regalerà le automobili e in cambio noi costruiremo per lui il nuovo Google maps.
Ma per quanto tempo saremo disposti a regalare dati e ricchezza a queste aziende? Quando inizieremo a capire che disporre dei nostri dati e venderli cambierebbe il paradigma industriale?
Il compito della politica è studiare norme e regolamenti che tutelino i dati e i loro proprietari e aiutare i cittadini nella produzione di questi servizi.
21 miliardi di euro a disposizione prodotti dai cittadini solo facendo quello che facciamo già tutti i giorni; sono 1200 euro circa pro capite che tornerebbero nelle nostre tasche. E’ il momento di pensarci.