Le big tech non sfidano gli Stati forti: li prolungano. Gli Stati forti, a loro volta, non regolano davvero le big tech: le incorporano come infrastrutture strategiche. È una simbiosi funzionale, fondata sulla reciproca capacità di imporre costi agli altri. Questa è la storia di come l’Europa abbia costruito l’infrastruttura più critica e fondamentale dell’era digitale e di come abbia perso ogni controllo su di essa.
ASML è l’unica azienda al mondo capace di produrre macchine per la litografia EUV, senza le quali i chip più avanzati non possono esistere. Ha sede a Veldhoven, nei Paesi Bassi, è quotata ad Amsterdam, ha un CEO francese e non decide praticamente nulla di strategico.
TSMC, Samsung, Intel: tutti dipendono da ASML per produrre i chip più avanzati per l’intelligenza artificiale. Nvidia progetta le GPU per l’intelligenza artificiale, ma non le fabbrica. Le fa produrre a TSMC, che usa le macchine EUV di ASML. Ogni data center, ogni smartphone, ogni sistema AI avanzato dipende da una catena che passa per Veldhoven.
Una macchina EUV costa circa 200 milioni di dollari, pesa 180 tonnellate, richiede 40 container per essere trasportata, e impiega mesi per essere installata e calibrata. Produce circa 200 wafer al giorno in condizioni ottimali. ASML ne vende poche decine all’anno. Canon e Nikon, un tempo leader nella litografia, hanno abbandonato la corsa all’EUV dieci anni fa.
Questo monopolio tecnico non è nato per caso. È il risultato di oltre trent’anni di investimenti in una tecnologia che nessun altro voleva finanziare, avviati quando Philips, si quella delle lampadine, decise di creare ASML come spin-off industriale e di scommettere, insieme a una filiera europea di competenze estreme, a partire da Carl Zeiss, su una traiettoria radicale. Alla fine degli anni ’90, mentre Canon e Nikon perfezionavano la litografia DUV (Deep Ultraviolet), quella scommessa si concentrò sull’EUV: una fonte di luce a 13,5 nanometri, così corta da non attraversare né aria né vetro.
Il sistema EUV in breve funziona, grazie agli amici fisici che mi hanno spiegato, così: micro-gocce di stagno vengono colpite nel vuoto da laser a CO₂ fino a diventare plasma, che emette luce ultravioletta estrema. Quella luce viene poi guidata da una catena di specchi atomici, con tolleranze inferiori allo spessore di un atomo, per incidere il circuito sul wafer.
Ma quel che conta oltre la, per me complicatissima, parte tecnologica è che questa tecnologia è stata per un decennio un disastro tecnico. Le prime macchine avevano rese dell’1-2%, si guastavano continuamente, contaminavano i wafer. Nel 2012, quando Intel, TSMC e Samsung sono entrati nel capitale di ASML con 5,4 miliardi di dollari, non stavano comprando tecnologia: stavano comprando la sopravvivenza del progetto. Senza quell’iniezione di capitale e l’impegno industriale dei clienti, l’EUV sarebbe morta.
E nel 2018 arriva la geopolitica perchè l’uso industriale reale iniziò solo in quell’anno e da quel momento ASML è passata da essere un’azienda olandese di semiconduttori a essere un collo di bottiglia geopolitico. Nell’ottobre 2022 il governo degli Stati Uniti impone restrizioni massicce sull’export di tecnologie avanzate per semiconduttori verso la Cina. La norma principale è semplice: nessuna macchina capace di produrre chip sotto i 14nm (quelle di ASML arrivano a 2 nm) può essere venduta a clienti cinesi. Nella pratica, significa: nessuna macchina EUV per la Cina.
ASML è un’azienda olandese, non americana. Le restrizioni non dovrebbero riguardarla direttamente. ASML produce internamente solo una parte dei componenti delle sue macchine EUV; una larga fetta dell’ecosistema di fornitori comprende aziende statunitensi per elementi critici come laser, software di controllo e altre tecnologie avanzate. Questo basta perché Washington possa invocare le regole sull’export americano e bloccare qualsiasi vendita verso la Cina, anche se la macchina è assemblata in Olanda e venduta da un’azienda europea.
L’Aia protesta formalmente, ma nella sostanza obbedisce. Anzi nel 2023 il governo olandese introduce restrizioni nazionali che ricalcano quelle americane. La Cina, che aveva ordinato alcune macchine EUV prima del ban, non ne riceve più. SMIC, il principale produttore cinese di chip, è congelato ai nodi tecnologici precedenti.
Questa non è diplomazia, è gerarchia. Gli Stati Uniti non hanno chiesto il permesso ai Paesi Bassi, hanno semplicemente imposto una scelta: o seguite le nostre restrizioni, o perderete l’accesso al nostro mercato e alle nostre tecnologie. Il governo olandese avrebbe potuto rifiutare, in teoria ma in pratica, nessuno ha mai considerato seriamente l’opzione.
La Commissione Europea ha protestato vagamente, invocando la sovranità tecnologica e l’autonomia strategica. Ha continuato a finanziare progetti sui semiconduttori, ma non ha fatto nulla per difendere l’autonomia decisionale di ASML.
Perché? Perché l’Europa non ha una posizione, esistono 27 politiche nazionali spesso contraddittorie, più una retorica di facciata.
Intanto il risultato è che le decisioni strategiche su ASML si collocano sempre più dentro il perimetro della politica industriale e di sicurezza statunitense, mentre l’amministrazione resta formalmente olandese. Le decisioni sulle vendite più sensibili maturano oggi entro un quadro di coordinamento politico e regolatorio guidato dagli Stati Uniti, in cui la valutazione dei clienti strategici non è più una questione puramente industriale. La Cina non può comprare EUV, Taiwan può, ma sotto costante minaccia che gli USA possano cambiare idea. La Corea del Sud può, finché resta allineata. Si capisce che questo non è un mercato ma è un sistema di controllo.
ASML ha una capitalizzazione superiore ai 300 miliardi di euro, è una delle aziende più preziose d’Europa, genera circa 27 miliardi di fatturato annuo e impiega oltre 40.000 persone. Eppure, sul piano geopolitico, resta strutturalmente vulnerabile.
La sua forza è anche la sua debolezza perchè ASML oltre a produrre internamente, coordina. Le ottiche più sofisticate vengono da Zeiss, in Germania, i laser vengono da Cymer, controllata californiana. I rivestimenti per i wafer vengono da fornitori giapponesi, i sistemi di controllo dipendono da software sviluppato in parte negli USA. Ogni macchina EUV è un assemblaggio di tecnologie provenienti da decine di paesi. Tutto questo rende ASML insostituibile, ma anche impossibile da difendere.
Se domani gli Stati Uniti decidessero di bloccare l’accesso di ASML ai componenti americani, l’azienda potrebbe continuare a produrre macchine DUV, ma le macchine EUV si fermerebbero. Se la Germania decidesse di nazionalizzare Zeiss per ragioni strategiche, ASML perderebbe l’accesso alle ottiche più avanzate. Se TSMC smettesse di comprare macchine perché Taiwan viene invasa, il mercato di ASML collasserebbe.
La natura globale della catena produttiva rende ASML tecnicamente dominante e politicamente impotente. Il governo olandese può proteggere i posti di lavoro, può offrire incentivi fiscali, può costruire infrastrutture. Ma non può decidere a chi ASML vende, perché quella decisione è ormai sottratta alla sovranità nazionale.
Questo spiega perché l’Europa continua a celebrare ASML come simbolo di eccellenza tecnologica mentre accetta, nei fatti, di non controllarne le scelte strategiche. L’alternativa sarebbe ammettere che una delle aziende più critiche del continente è diventata un nodo in una rete di potere che l’Europa non governa e probabilmente non può governare.
La Cina ha capito prima di chiunque altro cosa significa dipendere da ASML. Dal 2014, quando gli Stati Uniti hanno iniziato a rendere difficile l’accesso alle tecnologie americane per aziende come Huawei e SMIC, Pechino ha lanciato investimenti massicci per replicare l’intera catena produttiva dei semiconduttori.
Il programma “Made in China 2025” ha stanziato centinaia di miliardi di dollari in sussidi, ricerca, attrazione di talenti stranieri. L’obiettivo dichiarato: raggiungere l’autosufficienza nei semiconduttori avanzati entro il 2030. Finora, i risultati sono modesti. SMIC è riuscita a produrre chip a 7nm usando tecniche DUV estreme, senza EUV, ma con rese basse e costi proibitivi. Nessuna azienda cinese è vicina a replicare una macchina EUV funzionante. Anche se alcune fonti raccontano di come la ricerca stia andando oltre la tecnologia EUV.
Pechino ha già dimostrato di saper colmare gap tecnologici considerati insormontabili: nelle telecomunicazioni, nell’energia solare, nelle batterie, nell’intelligenza artificiale applicata. La corsa ai semiconduttori è più difficile, ma non necessariamente impossibile.
Se la Cina riuscisse a sviluppare una tecnologia di litografia avanzata indipendente da ASML, l’equilibrio globale cambierebbe radicalmente. Non solo spezzerebbe il monopolio olandese, ma renderebbe irrilevanti le restrizioni americane. A quel punto l’unico strumento di controllo rimasto agli Stati Uniti sarebbe Taiwan e cioè TSMC. TSMC produce circa il 90% dei chip più avanzati al mondo. È l’unica con impianti avanzati di produzione dei semiconduttori capace di fabbricare in volumi industriali chip a 3nm. Ha clienti che includono Apple, Nvidia, AMD, Qualcomm, praticamente l’intera industria tecnologica americana. Se domani TSMC smettesse di produrre, l’economia globale entrerebbe in crisi. Questo rende Taiwan strategicamente più importante di qualsiasi paese europeo. Non perché Taiwan abbia più potere militare o economico, ma perché ospita l’infrastruttura fisica senza la quale l’economia digitale globale non può funzionare.
La Cina lo sa e ecco perché le tensioni su Taiwan non riguardano solo la sovranità territoriale, ma il controllo dell’intera catena dei semiconduttori. Se Pechino riuscisse a prendere Taiwan intatta, acquisterebbe TSMC, e con essa il potere di decidere chi nel mondo può produrre chip avanzati. Se gli Stati Uniti decidessero che Taiwan sta per cadere, potrebbero ordinare la distruzione fisica delle fabbriche di TSMC per impedire che finiscano in mani cinesi.
Questo scenario non è fantascienza. È stato discusso pubblicamente da funzionari americani e taiwanesi tanto che TSMC ha iniziato a costruire fabbriche negli Stati Uniti e in Europa, non solo per ragioni commerciali, ma come polizza assicurativa geopolitica: distribuire la capacità produttiva per ridurre la vulnerabilità.
Ecco dove l’Europa entra in scena, ma non come protagonista: come rifugio. TSMC sta costruendo una fabbrica in Germania, a Dresda, con 10 miliardi di euro di investimenti, di cui 5 miliardi di sussidi pubblici europei. La fabbrica produrrà chip a 28nm e forse, in futuro, a 12nm. Non chip avanzati a 3nm o 2nm. Quelli restano a Taiwan.
Perché? Perché TSMC non ha alcuna intenzione di trasferire la tecnologia più avanzata fuori da Taiwan finché Taiwan esiste come entità indipendente. La fabbrica tedesca è un’assicurazione parziale, non una delocalizzazione strategica. L’Europa ottiene una capacità produttiva di seconda fascia, utile per automotive e industria, ma del tutto marginale per AI, data center, smartphone.
In altre parole: l’Europa è abbastanza affidabile per essere usata come backup industriale, ma non abbastanza rilevante per ricevere la tecnologia di punta. È un vassallo utile, non un alleato paritario.
Dal 2020 la Commissione Europea ha fatto della “sovranità tecnologica” uno slogan centrale. L’European Chips Act promette di raddoppiare la quota europea di produzione globale di semiconduttori dal 10% al 20% entro il 2030. Ci sono sussidi per attrarre Intel, TSMC, altri produttori, ci sono programmi di ricerca, ci sono dichiarazioni.
Ma guardiamo i numeri. I 43 miliardi di euro del Chips Act sembrano enormi, finché non li confrontiamo con i 52 miliardi di dollari del CHIPS Act americano, o con i 150 miliardi che la Cina ha già investito negli ultimi cinque anni. E comunque non è una gara di soldi: è una questione di dove sta la capacità tecnica reale.
L’Europa non ha impianti avanzati di produzione dei semiconduttori. Non produce chip sotto i 10nm, non ha aziende capaci di competere con TSMC, Samsung, Intel nelle tecnologie più avanzate e non ha un equivalente di Nvidia nel design di GPU. Non ha un ecosistema paragonabile a quello di Taiwan o della Corea del Sud. Quello che ha è ASML, ma ASML non è controllabile.
La sovranità tecnologica europea, così come viene raccontata, è una narrativa consolatoria. Serve a giustificare sussidi, a dare un senso di direzione, a evitare di ammettere che l’Europa è diventata periferica nelle tecnologie che contano. Non periferica perché non ha competenze, ma periferica perché non ha potere decisionale.
Il potere vero non sta nel possedere la tecnologia, ma nel poter decidere chi ci accede. Gli Stati Uniti non producono macchine EUV, ma decidono chi può comprarle. La Cina non le produce, ma sta investendo centinaia di miliardi per non dover chiedere il permesso. ASML è il caso di studio perfetto per capire come funziona il potere nell’economia tecnologica globale. Non conta chi possiede formalmente un’azienda o dove ha sede legale. Conta chi controlla i punti critici della catena produttiva e chi ha il potere di interrompere quella catena.
Gli Stati Uniti controllano componenti chiave, software, e soprattutto il mercato finale. La Cina controlla materie prime, capacità manifatturiera di massa, e un mercato domestico enorme. Taiwan controlla la produzione avanzata. L’Europa controlla ASML, ma ASML non può funzionare senza componenti americani, non può vendere senza autorizzazioni americane e non può sopravvivere senza clienti asiatici.
Questa non è una debolezza transitoria, è strutturale. L’Europa ha costruito un modello economico basato sull’integrazione globale, sul commercio aperto, sulla specializzazione tecnica e quel modello ha prodotto anche ASML. Ma quando il mondo entra in modalità di competizione geopolitica esplicita, la specializzazione diventa vulnerabilità e l’apertura diventa dipendenza.
La retorica della sovranità tecnologica europea presuppone che si possa tornare indietro: ricostruire filiere integrate, colmare i gap, diventare autosufficienti. Ma non si può e non perché manchi la capacità tecnica, ma perché ciò richiederebbe livelli di investimento, coordinamento politico e sacrificio economico che nessun paese europeo è disposto ad accettare, mentre lo stesso sacrificio viene invece accettato sul piano militare, come se fosse lì il vero vulnus della sovranità. Per essere davvero autosufficiente nei semiconduttori, l’Europa dovrebbe investire decine di miliardi in impianti avanzati di produzione dei semiconduttori, costruire da zero un ecosistema di design, replicare in decenni una filiera iperspecializzata e disporre di un mercato tecnologico interno che semplicemente non esiste. Nel frattempo, quei competitor non staranno fermi.
Non capisco come l’Europa possa essere allora sovrana sui semiconduttori, non almeno con questo modello. Questo non significa che l’Europa sia irrilevante, significa che il suo ruolo è diverso da quello che la retorica ufficiale vorrebbe. Accettare questa realtà non è disfattismo, è lucidità. E permette di fare scelte più oneste. ASML è un’azienda straordinaria, l’Europa dovrebbe coccolarla, ha costruito una tecnologia che sembrava impossibile, ha creato un monopolio tecnico che durerà probabilmente decenni, ha dimostrato che l’Europa può produrre innovazione di frontiera.
Ma non dimostra che l’Europa ha sovranità tecnologica. Dimostra l’opposto: che anche quando possiedi l’infrastruttura più critica del mondo digitale, se non hai potere politico e militare per difenderla, qualcun altro deciderà come usarla.
C’è infine un punto che va detto: le big tech e gli Stati potenti sono incardinati nella stessa architettura di potere. Non perché condividano valori o visioni del mondo, ma perché operano secondo la stessa grammatica: centralizzazione, deterrenza, capacità di esclusione, controllo delle filiere, ricorso all’eccezione. Le big tech non sfidano gli Stati forti: li prolungano. Gli Stati forti, a loro volta, non regolano davvero le big tech: le incorporano come infrastrutture strategiche. È una simbiosi funzionale, fondata sulla reciproca capacità di imporre costi agli altri.
ASML non può stare dentro questa architettura non perché l’Europa sia ingenua, ma perché l’Europa non è un soggetto capace di garantirla. Non dispone di deterrenza militare, non può sostenere una disciplina geopolitica delle filiere, non può trasformare una tecnologia critica in leva di comando senza disgregarsi politicamente. E soprattutto: non è affatto evidente che dovrebbe volerlo fare. Entrare in quella simbiosi significherebbe accettare che la tecnologia esista solo come estensione del potere sovrano, della minaccia, della subordinazione.
Per questo ASML non è un’anomalia da correggere, ma una frattura da comprendere. Mostra che un’infrastruttura può essere critica senza essere pienamente assorbibile nella simbiosi tra tecnologia e Stato forte. Non perché sia neutrale, ma perché è troppo interdipendente, troppo distribuita, troppo fragile per diventare un’arma stabile. Questo oggi viene letto come debolezza ma in realtà è una forma di resistenza strutturale, anche se non intenzionale.
Il problema nasce quando l’Europa continua a parlare di sovranità tecnologica fingendo di poter entrare in quella stessa architettura senza pagarne il prezzo. Quel prezzo è noto: militarizzazione, disciplinamento delle filiere, subordinazione totale della tecnica alla strategia. È il modello che lega le big tech agli Stati Uniti e, in forma diversa, alla Cina; funziona ma produce un mondo in cui ogni infrastruttura tende a diventare un dispositivo di dominio.
L’alternativa europea, se esiste, non sta nel sostituire quella simbiosi con una versione più debole o più gentile. Sta nel non renderla mai completamente possibile, nel restare una soglia, non un centro. Un luogo in cui la tecnologia non riesce a diventare del tutto statale, né del tutto privata, né del tutto militare; un ambiente che introduce attrito nell’architettura di potere invece di rafforzarla.
ASML, allora, non dimostra che l’Europa ha sovranità tecnologica. Dimostra qualcosa di più scomodo: che esiste ancora uno spazio politico fuori dalla simbiosi tra big tech e Stati forti, ma è uno spazio negativo, instabile, privo di garanzie. Non promette controllo ma promette solo una cosa: che nessuno possa controllare tutto.
Se l’Europa ha ancora un ruolo, non è quello di vincere la guerra dei chip. È quello di impedire che quella guerra diventi totale, chiusa, definitiva. Non è una vittoria, ma chi la vuole? È un limite imposto al potere e oggi, nel mondo tecnologico, sarebbe già molto.
Immagine: Théodore Géricault, La Zattera della Medusa (1818). La zattera è una costruzione tecnica minimale, funziona abbastanza da non affondare subito, ma non ha comando, non ha rotta, non ha protezione. È il risultato diretto di una decisione politica irresponsabile: ufficiali incompetenti salvati, il resto abbandonato. La tecnologia non fallisce, fallisce chi doveva governarla.