Chi siederà al prossimo G8?

Non saranno le istituzioni democratiche a decidere il futuro dell’intelligenza artificiale, né le vecchie élite della diplomazia multilaterale. Il prossimo tavolo del potere non sarà composto da Stati, ma da una costellazione ibrida di governi forse autoritari, democrazie tecnologiche e rappresentanti delle grandi piattaforme. Il G8 cognitivo che si va formando non ha capitali né costituzioni, ma server, chip, standard e modelli fondativi. Vi siederanno gli Stati Uniti con OpenAI, Microsoft, Nvidia e tutti gli altri. La Cina con Alibaba, Baidu e il Partito. Taiwan con TSMC, l’industria più strategica del pianeta, senza la quale nessun modello può essere addestrato né scalato. L’India con la sua sovranità digitale in costruzione. La Russia come potenza cibernetica. La Corea del Sud e il Giappone come avamposti tecnologici dell’Asia. E gli Emirati Arabi Uniti come hub computazionale del Sud globale. L’Europa, invece, resta alla porta: ha prodotto regolamenti, ma non modelli, ha difeso diritti, ma non ha costruito infrastrutture. In questo scenario, non ci si chiede più chi detiene l’arma, ma chi disegna l’interfaccia.

Mentre gli Stati Uniti approvano, finanziano, costruiscono e sviluppano sistemi, la Cina si muove con una strategia. Non inseguono l’ultima app virale, ma costruiscono ecosistemi verticali, filiere integrate, visioni sistemiche. L’Europa osserva, commenta, regolamenta. La sua presenza si manifesta soprattutto in forma di sguardo normativo: produce linee guida, codici etici, framework di accountability, ma resta fuori dalla catena del valore cognitivo. Il discorso del CEO di Alibaba, lo trovate qui sotto, se letto con attenzione, non è solo l’annuncio di un investimento: è un gesto politico, quasi costituente. L’intelligenza artificiale viene presentata come il nuovo campo di battaglia geopolitico, e Alibaba si propone come l’attore che può garantire alla Cina un posto permanente nel G8 cognitivo del futuro.

E in effetti i cinesi sono messi meglio di quanto traspare dal racconto distorto che se ne fa in Occidente. Infrastrutture cloud pubbliche e private in rapida espansione, una popolazione digitalizzata e governata da protocolli centralizzati, un’enorme disponibilità di dati in settori strategici (dalla sanità all’istruzione), una visione geopolitica che non teme la verticalità. Ma soprattutto: non giocano la partita dell’opinione pubblica, giocano quella del soft power geopolitico. Non esportano libertà, esportano protocolli. Non costruiscono storie da vendere, costruiscono standard tecnici, zone economiche, alleanze di connettività, come la Belt and Road, ma in versione cloud.

C’è da capire allora non se Alibaba possa competere con OpenAI, ma se l’Occidente sia ancora capace di articolare una visione alternativa. Mentre Google investe miliardi in modelli chiusi e Bruxelles in regolamenti, Alibaba costruisce piattaforme, educazione ingegneristica, supply chain autonome. L’Occidente parla di responsabilità e bias. La Cina forma legioni di operatori del pensiero automatico.

Tutto questo non è necessariamente un bene, ma è potere reale. L’asimmetria oggi non è tanto tra democrazie e autocrazie, ma tra chi immagina il futuro come un’infrastruttura strategica e chi lo vive come una serie di app da scaricare.

Alibaba ha capito, insieme a pochi altri, che il dominio cognitivo non passa dalla viralità ma dalla continuità, dalla lentezza della costruzione sistemica. La loro visione è inquietante proprio perché non è ingenua: prevede agenti intelligenti, cloud verticali, token come energia, modelli che sostituiscono il software. Non si accontentano di partecipare al futuro: vogliono disegnarne l’architettura. Da capire insieme a chi.

E mentre in Europa ci chiediamo se ChatGPT dica le parolacce, dall’altra parte costruiscono l’equivalente digitale del Canale di Suez. Ma la questione non dovrebbe ridursi a un confronto binario tra modelli dominanti: né la tecnocrazia californiana, né il verticalismo ingegneristico cinese possono esaurire l’immaginazione del possibile. Serve un’altra postura: un metodo che tenga insieme tecnodiversità, biodiversità e noodiversità, come suggerisce Yuk Hui, capace di radicare l’intelligenza artificiale nei territori, nelle culture, nelle ecologie. Non una macchina universale, ma molte intelligenze situate, co-evolutive, capaci di restituire pluralità ai processi cognitivi e di liberarli dall’ossessione della scala. In questo scenario, la sfida non è chi domina il futuro, ma chi sa ancora costruire mondi che non lo temano e che provano a immaginarlo insieme.

 

Cosa ha detto Eddie Wu.
Alla APSARA Conference di Hangzhou, Eddie Wu, CEO di Alibaba, è salito sul palco per raccontare un futuro che non riguarda soltanto la sua azienda, ma la traiettoria stessa del mondo digitale. Alibaba oggi vale quasi 400 miliardi di dollari, una delle più grandi imprese del pianeta. Non parla da inseguitore: parla da uno dei pochi attori che hanno le risorse per incidere.

Wu ha detto che i grandi modelli non vanno più intesi come strumenti di linguaggio: sono diventati l’infrastruttura cognitiva che sostituirà il software tradizionale. Come i sistemi operativi negli anni Ottanta hanno aperto la strada all’informatica personale, così i modelli diventeranno la piattaforma universale, capaci di orchestrare memoria, strumenti, agenti e tradurre ogni richiesta in azione computazionale.

Il centro del mondo digitale non sarà più il computer o lo smartphone, ma il supercloud dell’intelligenza artificiale. Cinque o sei poli globali, al massimo, concentreranno la potenza di calcolo e i dati necessari per sostenere modelli da trilioni di parametri. In questo scenario il token, unità che misura e alimenta la produttività cognitiva, diventerà ciò che l’elettricità è stata per le fabbriche e le città.

Per reggere questa trasformazione, Alibaba investirà 380 miliardi di RMB in tre anni: data center, GPU farms, modelli di nuova generazione. Non per rincorrere gli Stati Uniti, ma per assicurare alla Cina un ruolo di protagonista, anche attraverso l’open source, che serve a fissare standard alternativi e impedire che un solo blocco geopolitico decida le regole della nuova economia cognitiva.

La traiettoria che Wu descrive è chiara: dai modelli generali a quelli verticali per sanità, finanza, manifattura e diritto, fino agli agenti cognitivi che non si limiteranno ad assistere, ma pianificheranno, negozieranno, eseguiranno compiti complessi, diventando forza lavoro digitale. Quando poi i modelli saranno capaci di migliorarsi da soli, entreremo in un ciclo continuo di innovazione senza interruzioni.

L’orizzonte è il 2030: software tradizionale rimpiazzato da interfacce naturali basate sul linguaggio, agenti intelligenti che si muovono anche nel mondo fisico, produttività misurata in token e poche piattaforme globali a controllare la nuova infrastruttura cognitiva. Alibaba non intende essere un semplice spettatore: vuole essere tra coloro che costruiscono questo futuro.

Immagine: Carceri d’Invenzione di Piranesi, 1745