Se l’Antropocene ha mostrato come la Terra sia divenuta un artefatto dell’uomo, l’Artificene segna l’era in cui l’intelligenza artificiale non solo è presente, ma a sua volta modella e ridefinisce la Terra, trasformandola in un suo artefatto. Se definiamo che la tecnologia ha un’essenza, e la sue essenza è la trasformazione del Globo in un Globo migliore per la vita, essere umano e natura, il passaggio dall’Antopocene all’Artificene potrebbe aiutare. A patto che cosa e come dovrebbe essere la AI sia una prerogativa delle comunità e dello Stato, non di alcuni potenti che la sviluppano e la detengono come succede ora. Ma lo Stato ha abdicato al suo ruolo anche in questo campo e le comunità non reagiscono. Non possiamo affidarci agli Stati e alle democrazie per come oggi li conosciamo. Che fare dunque? Biodiversità, tecnodiversità e noodiversità possono aiutare le comunità a definire un nuovo metodo.
La biodiversità non è solo “quante specie ci sono”, ma come queste specie interagiscono tra loro e con l’ambiente. Le loro relazioni vitali comprendono: cicli ecologici, reti alimentari, mutualismi e simbiosi, e persino influenze culturali ed epistemologiche sugli ecosistemi.
Ogni specie esiste non come un’entità isolata, ma come parte di un sistema di dipendenze reciproche: una pianta non è solo una pianta, ma anche cibo per insetti, ombra per altre specie, filtro per l’acqua e così via.
La diversità della tecnologia. Il problema non è la tecnologia, ma la monocultura della tecnologia e il potere di chi la detiene. La questione non è quale tecnologia adottare, ma come la tecnologia si evolve dentro le diversità delle forme di vita. Le grandi piattaforme digitali, l’intelligenza artificiale e la robotica sono progettate secondo un paradigma specifico: capitalista, estrattivo, occidentale. Con il risultato che l’imposizione di un’unica tecnologia globale cancella alternative locali e tradizionali. Dobbiamo pensare a tecnologie multiple, coesistenti, adattabili ai diversi ecosistemi e modi di pensare.
Infine la noodiversità che è una critica all’idea che esista un’unica epistemologia universale, dominante nella modernità occidentale, basata su razionalità, calcolo e astrazione.
Il senso ancora una volta è quello delle relazioni. Un’ecologia delle relazioni che riconosca il modo in cui queste specie, biologiche, tecnologiche e culturali sono, devono, essere interconnesse e coesistono attraverso una rete complessa di relazioni in reciprocità. Alla ricerca di una giustizia eco-sociale, intesa come equilibrio tra la giustizia sociale e la giustizia della natura.