C’è un metodo importante per cui Cina, Giappone e pochi altri stanno occupando le nostre comunità. Sono i fondi sovrani, enorme quantità di denaro pubblico che viene investito in aziende e prodotti finanziari. Fondi che investono spesso in aziende a grande liquidità, garanzia che i fondi usano per richiedere ingenti prestiti. Fondi pubblici come il giapponese Softbank che investe nella Boston Dynamics, quella dei robot che come un qualsiasi uomo girano per i boschi senza inciampare, spostano cose negli armadi, aprono le porte se tu non ci riesci e molto altro. Oppure come Temesek (Singapore) e CIC (Cina) che investono in Airbnb. Cosi quando prendiamo una camera su Airbnb siamo tassati dallo Stato e diamo allo Stato anche qualche altro soldo grazie ai dividendi che riceve da Airbnb e da molte altre aziende tecnologiche che utilizziamo tutti i giorni. Che politiche pubbliche sta facendo lo Stato con fondi sovrani che investono nella nostra vita? Pare che con questo comportamento lo Stato tenda a autodistruggersi per diventare forse qualcosa d’altro. Se la rivoluzione finanziaria nella vecchia epoca ha compromesso e cercato di distruggere l’autorità dello Stato, gli Stati tendono ora a abbandonare le garanzie sociali e di cura della comunità per reinventarsi attori importanti del mercato attraverso i loro fondi sovrani. Spetta anche a noi capire se seguirlo o provare a contrastarlo. E’ molto probabile che la prossima fase della rivoluzione tecno-finanziaria sarà ancor più disastrosa per l’autorità politica nazionale e per le istituzioni. Nuovi algoritmi, nuovo metodi che delegittimeranno sempre più istituzioni e politica. Già la sorveglianza, la cartografia e molti altri domini sono ormai strumenti delle aziende che ogni giorno diventano sempre più anche le custodi della nostra comunità. Come Facebook ad esempio che alla fine dello scorso anno ha deciso come e dove pagare le tasse in Italia. Una delle più grandi aziende globali fino a poco tempo fa pagava le tasse in California e nel suo quartier generale europeo a Dublino. Ora paga le tasse anche sui territori, non tanto negli Stati, dove fa ricavi e facendo cosi ha fatto due cose importanti. Riconduce il suo essere globale a essere locale annullando formalmente il concetto di norme tributarie; il nomos, il regno e lo spirito delle leggi dello Stato annientato da una decisione di un player globale che capitalizza quasi 500 miliardi di dollari, che decide come tassarsi. E decide di tassarsi sui ricavi ottenuti grazie ai contenuti prodotti da una comunità restituendo qualcosa a quella comunità. Facebook in qualche modo senza contrattazione con lo Stato è diventato autonomo compiendo funzioni statali. Definisce quindi un nuovo nomos, un nomos digitale sul nomos tributario. Poi ci sono le criptomonete. Prendete Bitcoin, Ethereum o molte altre. Bitcoin oscilla ormai come terza o quarta moneta come valore corrente subito dopo dollaro e euro e il suo mercato come quello delle altre criptomonete fa quello che vuole, emette, scambia, distrugge moneta, senza minimamente rendere conto alle Banche centrali o allo Stato. E potrebbero diventare presto strumenti importanti di scambio in agricoltura, Tradecoin la moneta del MIT è un ottimo esempio ma ce ne sono molte altre, o nel settore energetico, magari soprattutto nei domini delle smart land care a Aldo Bonomi. Sembra che chi ha molto contribuito a rendere la globalizzazione più forte, torni sui suoi passi per evolversi e diventare ancora più grande riconoscendo nelle comunità, anche piccole, una forza importante. La visione globale appartiene un’altra volta alle aziende non certo allo Stato e alla politica. E’ un post questo che provo a scrivere, conscio della complessità dei temi, con modestia alla ricerca di qualche ipotesi e forse intuizioni. Globalizzazione che certo non nasce ieri e nemmeno 100 anni fa. La globalizzazione, se è possibile descriverla in qualche modo, inizia nella notte dei tempi quando il primo uomo decide di definire il possesso e costruisce i confini di un territorio dicendo questo è mio. Definendo cosa è mio definisce anche il suo e il tuo. E la storia del mondo non è altro che un continuo avanzamento e superamento di questi confini e di proprietà in un insieme sempre più articolato di relazioni. Sono cambiate con il tempo le forze delle due dimensioni della globalizzazione, il tempo e lo spazio. Se la globalizzazione è interezza, è copertura del globo, la tecnologia e chi l’ha occupata ha compresso questa grandezza riducendo lo spazio e il tempo. Marco Polo impiego 17 anni per andare in Cina, imparare e tornare a Venezia da mongolo. Luois Blériot, attraversò per primo in aereo agli inizi del ‘900 la Manica da Calais a Dover e in 32 minuti di volo cancellò per sempre il nomos dominante dell’epoca, il diritto navale marittimo creato dagli inglesi e sul quale l’Inghilterra coloniale poggiava la sua forza. Si narra che appena atterrato sul suolo inglese i doganieri gli si fecero incontro chiedendone le generalità e facendogli firmare l’unico modulo che avevano, quello dei traghetti e dei piroscafi; quel giorno secondo lo Stato inglese arrivò a Dover un piroscafo con un solo passeggero a bordo. Anche allora come oggi lo Stato era impreparato a cogliere i cambiamenti della tecnologia, incapace di reagire o nemmeno a provare a capire. Mancano i moduli interpretativi come a Dover mancavano i moduli dell’aereo. E se il concetto e senso di Stato è debole, non riesce nemmeno a capire i flussi delle persone e i suoi sentimenti, come è successo ancora una volta, dopo la traversata aerea di Bleriòt, nel campo profughi a Calais, sulle navi e in molte altri parti del mondo con le condizioni disumane in cui sono costretti migliaia di persone. Popoli che sono così disorientati e spaventati e che naturalmente sono alla ricerca di nuove comunità in cui provare a stare bene insieme. Popoli, se mi è permesso di semplificare, che sono passati storicamente dagli imperi a stati che stati non sono, governati da dittatori appoggiati dalle grandi potenze della guerra fredda e dalle Nazioni Unite che pur di veder scomparire gli imperi e il dominio degli stranieri chiudono gli occhi e le orecchie davanti a comportamenti spesso sanguinari. Cosi la guerra fredda, che non ha fatto morti nei paesi dove si temeva, ha invece prodotto milioni di morti e di distruzione nei paesi delle ex colonie, Somalia, Afghanistan, Yemen, Angola, Sudan e quanti altri. Ora che siamo alla fine di questi metodi nella transizione da Stato a comunità transnazionali, i popoli cercano nuovi spazi da abitare che non possono per forza essere quelli descritti sopra. Lo stato islamico, Al Queda, Boko haram sono alcune di queste risposte, ovviamente terribili risposte a cui non si può lasciare spazio. Clan alla ricerca con il terrore, nei casi sopra descritti, ma ci sono molti esempi positivi come il popolo curdo, di reti transazionali; da quelle commerciali a quelle militari passando per la costruzione di una carismatica narrazione religiosa che ha senso, la narrazione non il terrore, perché porta con se la ricerca del mana. Il mana, una forza impersonale e anonima presente in ogni clan, che è la matrice del sacro; e quando l’istituto muore non si può andare che verso il sacro che da origine al culto, perché è il culto che ricrea la società e mette in moto la comunità con la sua coscienza collettiva che viene prima, è bene ricordare, sia della intelligenza collettiva tanto cara al web 2.0, sia dell’intelligenza artificiale tanto cara ai fautori del post umanesimo. Come rimediare a tutto questo è credo il più grande problema che l’umanità deve affrontare in questa nuova epoca. L’Europa potrebbe disegnare un modello virtuoso che emerge dalle difficoltà che sta vivendo tra sovranità e rivolte regionali. L’Unione Europea delle Comunità e non più degli Stati potrebbe essere un inizio. Il tavolo dell’analisi e del confronto è aperto. Comunque un’enorme responsabilità in questa nuova società forgiata dalla tecno finanza tra la disperazione e la speranza dei popoli che per ora la subiscono, alla ricerca con misericordia e ascolto del riconoscimento, speriamo ancora possibile, della trascendenza.
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