Sono le nazioni che non dovrebbero esistere.

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E cosi nascono le nazioni.

Il primo uomo che delimitò per sé e per i suoi un pezzo di suolo terrestre per farne una proprietà inaugurò la storia mondiale. Poiché dicendo «mio», non solo fece «suo» il «suo», ma rese tutto il resto possesso di tutti coloro che restavano. Cosí facendo, col «mio», creò contemporaneamente il «tuo» e il «suo». Tracciando il primo confine, l’umanità prese possesso della terra. L’intera storia universale altro non è che il continuo spostamento in avanti di quel primo confine, altro non è che un sempre rinnovato incastro l’uno nell’altro del «mio», del «tuo» e del «suo», la creazione sempre piú articolata di relazioni Io-Tu a partire dal caos indiviso dell’esso. (Carl Schmitt)

Non mi ritengo italiano, nemmeno sudtirolese, manco europeo. Io sono perché vivo, ora, in un territorio, in una comunità, domani sarò in un alto luogo e un’altro domani in altro ancora. E voglio comportarmi in questo luogo, pensando, agendo, vivendo quel territorio e quella comunità per migliorarla per starci bene con altri individui diversi nel pensiero, nella cultura, nella religione. Null’altro. Il concetto della nuova cittadinanza deve partire da qui e non dallo “status” giuridico del cittadino legato alla nazione. Ora è cittadino colui che è riconosciuto dalla legge nazionale come “appartenente allo Stato”. Di conseguenza a lui sono riconosciuti tutta una serie di diritti e doveri stabiliti innanzitutto dalla Costituzione. Gran parte di questi pensieri prendono forza nel ‘800 con giuristi e filosofi liberali che tendono a costruire un pensiero ideologico per aiutare il concetto di nazione, di Stato, concetti nuovi fino ad allora.

Tra i primi Stanislao Mancini che nel 1850 circa definisce la cittadinanza nazionale diventando principio di nazionalità come fondamento dei diritti umani. La cittadinanza si riduce cosi alla nazionalità. Ma di nuovo per Mancini e cosi per molti giuristi e filosofi dell’epoca il principio di cittadinanza nazionale aveva senso per dare una struttura ideologica al Risorgimento. Cosi come la cittadinanza nazionale aveva senso nella rivoluzione francese per allargare il concetto di uguaglianza.

Ma oggi il senso di cittadinanza non può più essere collegato ai pensieri risorgimentali del ‘800. Abbiamo bisogno di una nuova cittadinanza. Sicuramente non più di una cittadinanza nazionale. Un buon inizio seppure a carattere locale viene dall’Europa con il Trattato di Maastricht del 1992 e il suo articolo 8. “Ogni cittadino dell’Unione residente in uno Stato membro di cui non è cittadino ha diritto di voto e di eleggibilità alle elezioni comunali nello Stato membro in cui risiede, alle stesse condizioni dei cittadini di detto Stato”. Un inizio che prova a ricondurre il concetto di cittadinanza nazionale a cittadinanza locale, a una cittadinanza di comunità. E una cittadinanza di comunità costruisce anche informalmente i diritti e i doveri di chi la abita. Diritti e doveri che principalmente si evolvono intorno alla gestione dei beni collettivi che la cittadinanza di comunità ha a disposizione sul territorio.

Dovremo ricondurre la comunità a il luogo che la comunità abita e abbandonare il concetto di spazio e di distanza. Lo spazio che diventa luogo si misura e vale solo grazie all’esperienza di chi lo vive. Il tragitto esperienziale di chi viaggia è la misura del mondo stesso. Lo stadium greco, che diventa spazio era l’unita di misura che definiva la distanza tra due punti tra territori. Ma ora la distanza e il confine non non deve esistere più.

Marco Polo, cittadino di decine di comunità, impiegò 17 anni per percorrere la via della seta e arrivare in Cina da Khan. Diventò cittadino di ogni comunità che conosceva, tornò in Italia che sapeva l’arabo, il persiano, dialetti orientali e tornò a Venezia da mongolo. Il suo concetto di spazio era legato all’esperienza. La foresta dura due giorni, il deserto dura un giorno. Si muove e conosce in base all’esperienza. Vive lo spazio che abita e interagisce con esso tanto da assorbirne l’identità. L’opposto di Cristoforo Colombo che ha a disposizione mappe, delle misure standard, la lega, a cui non interessa conoscere lingue e cultura delle popolazioni che incontra. Il suo problema è la velocità. Controlliamo il concetto di velocità soprattutto nella cultura. Il web e i media civici ci possono aiutare a conoscere e governare il nuovo mondo. E anche a definire nuovi modelli deliberativi basati su informazione, argomentazione, discussione e infine decisione. Il mondo non è più un insieme di nazioni. Il mondo è senza spazio, un mondo fatto di una collezione di luoghi. I luoghi, faccia della terra ma con il senso di unicità, di specialità, di valori, che nessun’altro luogo ha. Il mondo non deve appartenere alle nazioni.

 

Alcune riflessioni nascono dalla straordinaria relazione che vi invito a vedere in streaming qui di Franco Farinelli, geografo, docente universitario italiano, presidente dell’Associazione dei geografi italiani.

immagine di Nikolaj Cyon