Come l’Europa ha trasformato i nostri dati in armi
Non serve essere attivista. Non serve nemmeno sapere cosa succede esattamente a Gaza per essere parte del problema. Basta vivere in Europa, avere un telefono, cercare un indirizzo. Ma anche caricare un documento su un cloud o inviare un bonifico. Scrivere un commento di solidarietà sotto un post. Fare una call con qualcuno che lavora sul campo. Tutto normale, tutto innocuo.
E invece no. Perché quei dati, posizione, cronologia, immagini, contatti, non restano lì. Vengono raccolti, elaborati, assorbiti in silenzio da infrastrutture digitali che operano sotto giurisdizione israeliana. Lo permettono le leggi, lo garantisce un accordo con l’Unione Europea. È legale.
E poi succede che una bambina, migliaia di bambine e bambini, di sette anni, a Shujaiya, quartiere a est di Gaza City, venga uccisa da un drone una notte di giugno del 2025. Nessuna sirena, nessun avviso. Un’esplosione chirurgica, certo il bersaglio non era lei. Forse un uomo, qualcuno che aveva scambiato dei messaggi oppure una casa con troppo traffico dati.
L’intelligenza artificiale ha fatto il suo mestiere: ha calcolato, ha classificato, ha preso una decisione automatica. L’ha presa con dentro anche me non perché ho fatto qualcosa ma perché i miei dati, da qualche parte, ci sono arrivati. E questo basta.
È in quel momento che ho smesso di distinguere tra “dato personale” e “conseguenza politica”. Il sistema che ha autorizzato il colpo, Lavender, un algoritmo dell’IDF, non si chiede chi sei. Si chiede però quanto sei vicino a un sospetto, insomma quanto sei parte di un errore. E quando dico errore, parlo di esseri umani e di chi stava troppo vicino, troppo connesso, troppo dentro una rete.
Lavender, Gospel, Red Wolf. “Lavender” processa liste di SIM e decide sulla base di metriche automatizzate. “Gospel” è un motore di raccomandazione che suggerisce target da colpire. “Red Wolf” sorveglia i checkpoint e assegna punteggi biometrici. Sistemi automatici di targeting militare che si alimentano di dati, non di bombe, di dati. Anche europei e anche miei, anche nostri. Perché l’Unione Europea non ha mai sospeso la decisione di adeguatezza che consente il trasferimento di informazioni personali verso aziende israeliane. Nonostante i moniti di cinquanta organizzazioni digitali, nonostante le inchieste, nonostante Gaza.
Non è un bug del sistema. È il sistema. La decisione di adeguatezza è il cuore giuridico di questa ingegneria della complicità: autorizza legalmente aziende israeliane a trattare dati di cittadini europei come se fossero sotto garanzia GDPR. Ma non lo sono. Perché in Israele, dal 2023, l’autorità garante della privacy è stata subordinata al potere esecutivo. Perché l’accesso dell’intelligence ai database civili non prevede controllo giurisdizionale. Nessun mandato, ne notifica, ne ricorso. L’Unione Europea sa tutto; ha ricevuto lettere firmate da decine di associazioni per i diritti digitali, ha letto i rapporti delle Nazioni Unite, le inchieste di +972, The Guardian, Haaretz. Ha avuto tempo, strumenti, giuristi, esperti e ha scelto comunque di non sospendere l’accordo di adeguatezza con Israele. Ha scelto di definire “sostanzialmente equivalente” un sistema legale che consente ai servizi segreti di accedere ai dati dei cittadini europei senza garanzie, senza limiti, senza controllo giurisdizionale. Ha ignorato volutamente le riforme che, nel 2023, hanno subordinato l’autorità israeliana per la privacy al potere esecutivo, violando i requisiti fondamentali del GDPR stesso. Ha accettato che il tracciamento, la profilazione e il targeting algoritmico potessero essere alimentati da dati europei, anche quando quegli stessi dati venivano impiegati in tecnologie di guerra. Non si tratta di distrazione, è una scelta politica, una complicità attiva, mascherata da neutralità normativa. La verità è che la UE ha bisogno di Israele come partner tecnologico e militare e per questo permette i suoi abusi. Per interesse, geopolitico.
E allora succede questo: io uso un’app, invio una mail, partecipo a un meeting. I miei dati passano in server controllati, direttamente o indirettamente, da soggetti sottoposti a quelle leggi. E se per caso ho avuto contatti con un attivista palestinese, o con un operatore umanitario, o anche solo con un nodo debole della rete, i miei dati diventano un segnale. Un elemento dentro un grafo relazionale. Se io parlo con X, e X ha parlato con Y, e Y vive a Rafah, la casa di Y può essere colpita.
Non serve dimostrare l’intenzione. Basta affermare che il bersaglio era plausibile. Che il contesto era coerente. E che i dati lo dicevano. Tutto questo non è un’ipotesi. È documentato. L’88% delle indagini militari israeliane su attacchi con vittime civili viene archiviato senza esito. La protezione dei dati europei finisce nel momento esatto in cui quei dati atterrano in una giurisdizione che opera secondo logiche di guerra.
E io, in tutto questo, ci sono. Non come autore ma come sorgente, come uno dei tanti nodi Come complice senza saperlo, non ho premuto un pulsante, ma non l’ho nemmeno disattivato. Posso giustificarmi? Forse no. Posso capirmi? Forse sì ma sono lacerato. Perché tutto questo non si regge sulla mia cattiva coscienza, ma sulla mia assenza di coscienza. Sul fatto che il sistema digitale in cui vivo è costruito per funzionare in background, per nascondere la soglia tra ciò che è mio e ciò che contribuisce ad altro. Per farmi credere che l’infrastruttura è neutra, e che la responsabilità è solo di chi uccide. Ma non è così. Perché ogni infrastruttura è una scelta. E ogni scelta, anche non fatta, ha un impatto.
Allora sì, posso ancora fare qualcosa. Non per cancellare ciò che è già accaduto, ma per non contribuire ancora. Posso smettere di considerare normale l’uso di strumenti che espongono i miei dati. Posso pretendere che l’Unione Europea revochi la decisione di adeguatezza con Israele. Posso denunciare, pubblicamente, ciò che è legalmente possibile ma umanamente inaccettabile. Posso disertare, dalle app, dalle deleghe cieche, dalla zona grigia della responsabilità digitale. Non si tratta di salvare Gaza con un gesto. Ma di uscire dal tracciato invisibile che passa anche da me. Di smettere di alimentare il modello. Se tutto oggi è codice, allora io voglio interrompere la linea. Anche se è troppo tardi. Non esistono dati neutri. Esistono solo dati che non sono ancora stati usati contro qualcuno. E questo tempo, temo, è già finito.