Scomparirà il web come lo conosciamo. Non per crollo, ma per assorbimento. Le pagine, i layout, i click, le ricerche, le scrollbar: residui di un’epoca in cui l’essere umano doveva ancora orientarsi da solo. L’interfaccia grafica era lo spazio in cui si esercitava la libertà dell’utente, la sua agency. Ora quell’interfaccia evapora, sostituita da sistemi che decidono, suggeriscono, eseguono.
Il web non sarà più una rete da esplorare, ma una serie di risposte che arrivano senza che si debba chiedere davvero. I siti diventano funzioni. I servizi diventano agenti. I contenuti diventano output.
Non si entra più in Booking, si dice trovami un posto tranquillo per dormire vicino a un lago, max 100 euro. Non si consulta più Google Maps, si chiede portami a casa evitando il traffico e i lavori in corso. Non si sfoglia più Amazon: si pronuncia un bisogno, e qualcosa arriva.
Non è semplicemente la fine della user interface. È una sua mutazione profonda. Non scompare del tutto, ma cambia forma, funzione, linguaggio. Diventa trasparente, adattiva, ubiqua e, proprio per questo, rischia di diventare anche invisibile e incontestabile.
È un’evoluzione, sì. Ma non è detto che sia neutra. Quando la UI scompare, non scompare l’interfaccia: scompare la possibilità di discuterla. Chi disegna questa nuova interfaccia invisibile? E secondo quali logiche?
Stessa fine per il software. Perché scaricare Audacity o Premiere, imparare un’interfaccia, settare un equalizzatore? Basta dire fammi un effetto sonoro cupo per l’inizio del mio podcast o disegnami una copertina con sfondo montano e tipografia geometrica. I software diventano invisibili, inglobati in modelli che operano su richiesta.
Il software diventa fluido, pervasivo, impalpabile. Non viene più venduto, ma erogato. Non si installa: risponde. E così, anche il concetto stesso di “strumento” si svuota. Non c’è più mediazione tra l’intenzione e il risultato: tutto passa per il linguaggio.
Quello che sta sparendo non è solo il web grafico o il mercato del software come lo conosciamo. È il gesto stesso dell’andare a cercare, dello scegliere tra alternative, del comporre con fatica.
Il nuovo web è un flusso continuo di micro-decisioni automatizzate. E in quello scorrere fluido, trasparente, si perde anche il margine per decidere altrimenti.
Se il web diventa il regno degli agenti, automatizzato, predittivo, chiuso in loop di efficienza, allora resta da immaginare uno spazio diverso. Non un web senza AI: questo non è né realistico né desiderabile. Ma un web in cui l’intelligenza artificiale non sia addestrata solo su ciò che siamo già stati, ma capace di farci diventare altro. Non è questione di nostalgia per l’interfaccia grafica o per la libertà di cliccare. È questione di progettare ambienti che non ci riconsegnino solo a ciò che siamo già, le nostre abitudini, preferenze, identità, ma che ci espongano anche a ciò che non conosciamo ancora. Che ci mettano in dialogo con l’imprevisto.
Un web che lascia spazio alla scoperta, all’errore, alla relazione. Dove l’AI non anticipa, ma accompagna. Dove non tutto è fluido, perfetto, immediato. Ma dove proprio per questo qualcosa può accadere. Non si tratta di credere che questo ci renderà liberi. Ma almeno di evitare che tutto ci riconduca sempre allo stesso punto.
Il web non è un rifugio. Non è l’ultima tecnologia umana contro l’avanzata dell’intelligenza artificiale. Non è uno spazio libero che resiste. Anche il web sta cambiando. Silenziosamente, ma radicalmente.
Non sparisce, si trasforma. Le pagine diventano funzioni. I siti diventano risposte. Le interfacce, che un tempo rendevano visibile la scelta, si fanno trasparenti, automatizzate, opache. Non c’è più bisogno di cercare: un agente cerca al posto tuo. Non si naviga: si riceve.
Non è una distruzione. È un’evoluzione. Ma non neutra. Perché quando l’interfaccia scompare, scompare anche la possibilità di metterla in discussione. E quello che resta è un flusso continuo di decisioni prese da qualcun altro, per conto nostro.
Il web come lo conoscevamo non verrà difeso. Verrà riassorbito. E la posta in gioco è cosa diventerà.
Immagine: Timothy John Berners-Lee, inventore del World Wide Web.