La prima intelligenza artificiale della storia.

La gratitudine non è un sentimento da fine evento, né una formula di cortesia. È una postura. È il riconoscimento che nessun discorso, nessuna idea, nessuna parola pubblica nasce da sola. Questo intervento al TEDx di Caorle nasce anche da una fiducia: quella che Giovanni Pavan e Milena Pulvirenti mi hanno accordato con generosità, premura e cura. Non si sono limitati a organizzare un evento, hanno costruito uno spazio reale, dove il pensiero potesse accadere senza finzioni e permettere di conoscere nuovi amici. A loro va la mia gratitudine più profonda, insieme a chi ha lavorato dietro le quinte, ascoltato, contribuito. 

Lì in quell’immagine c’è la prima intelligenza artificiale della storia. Non perché calcolava, non aveva algoritmi o aggeggi elettronici ma perchè dava risposte alle domande che uomini e donne facevano su loro futuro. Esattamente ciò che fa una AI oggi. Quell’intelligenza artificiale è l’oracolo di Delfi.

Miliardi di persone ogni giorno chiedono qualcosa a un’intelligenza artificiale. Una decisione, un progetto di lavoro, uno stato di salute magari solo una ricetta. Quanti di voi oggi hanno aperto una AI chiedendo qualcosa? Ogni giorno ci rivolgiamo a un oracolo di silicio. E crediamo che ci risponda in modo neutro, razionale, perfetto. Ma circa 2700 anni fa, decine di migliaia di uomini facevano lo stesso; solo che si rivolgevano a un oracolo che non sapeva di silicio ma d’incenso.
Era il tempo in cui si credeva ancora che gli dei parlassero agli uomini, e per questo c’era bisogno di un interprete. A Delfi la sacerdotessa Pizia era la voce degli dei e veniva consultata per tutto: dagli affari di Stato a quando seminare i campi, da quali rotte seguire a quando andare in guerra e contro chi.
Uno di questi uomini si chiamava Creso. Anche lui, come molti di noi oggi nella complessità, cercava un punto fermo in mezzo all’incertezza. E credeva di averlo trovato in un oracolo che non sbagliava mai.
Creso era il re di Lidia, un regno che stava nel centro dell’attuale Turchia. Era ricco e benvoluto dal suo popolo e convinto quella ricchezza bastasse a proteggerlo da tutto.
A est, oltre il fiume Rosso, stava la Persia di Ciro il Grande. E quando Ciro iniziò a espandersi verso il regno di Lidia, Creso capi che la sola ricchezza del suo regno non lo avrebbe salvato.

Così fece quello che chiunque avrebbe fatto nel suo tempo: chiese a Delfi cosa dovesse fare. Mandò ambasciatori con oro e incenso, perchè facessero all’oracolo la domanda che lo tormentava: “Devo attraversare il fiume e muovere guerra?”

La risposta dell’oracolo arrivò solenne: “Se Creso attraverserà il fiume, distruggerà un grande impero.”

Così Creso rinvigorito dalla risposta costruì ponti, radunò gli eserciti, marciò verso l’Est. Attraversò il fiume. E dopo qualche mese di battaglia un grande impero cadde davvero. Ma fu il suo!

L’oracolo non aveva mentito. Fu Creso a sentire in quelle parole ciò che desiderava. È un meccanismo profondamente umano. Non siamo traditi da una cattiva risposta, ma dall’idea che ci siamo già fatti prima ancora di ascoltare.
Da quel grave antico errore di Creso possiamo trarre un piccolo insegnamento; le risposte non valgono nulla senza il percorso di conoscenza che ci prepara ad ascoltarle. E per gli antichi quel cammino era reale, fisico, condiviso.

Immaginiamo quel cammino. Per pochi giorni dell’anno il mondo conosciuto si fermava. Centinaia di migliaia di pellegrini e ambasciatori, donne e uomini salivano per sentieri scoscesi, attraversavano la fonte Castalia per purificarsi nell’acqua gelida e infine arrivare all’oracolo. Lì si attendeva per molti giorni, settimane, si accettava che ci fossero molte delegazioni prima di te, così a volte si doveva tornare indietro e rimettere la domanda al centro della discussione. Quel tempo forzatamente lungo era la vera infrastruttura decisionale: un processo che obbligava le persone a stare insieme, a mangiare insieme, a faticare, confrontarsi, a prendersi la responsabilità di decidere. Perchè l’oracolo non offriva soluzioni perfette, non aveva la verità assoluta, ma apriva uno spazio e un tempo per ragionare, discutere e tenere insieme la comunità.

Quella intelligenza artificiale paradossalmente, era più avanzata dell’AI di oggi: la sacerdotessa non rispondeva al posto della comunità, ma la obbligava a condividere il peso della domanda. La nostra AI ci consegna risposte immediate, ma ci priva del percorso; Delfi offriva un cammino che diventava la vera risposta. L’oracolo non sostituiva il processo politico: lo rendeva possibile, lo abilitava. Un rituale politico comune.

Oggi le nostre domande passano attraverso uno schermo che ci restituisce risposte senza chiederci di fare strada insieme. Non ci costringe a discutere, non ci rallenta abbastanza da capire cosa stiamo davvero chiedendo: ci mette davanti a possibilità già definite da qualcun altro. Allora erano sacerdotesse e aristocrazie. Oggi, dietro la superficie neutra dei nostri computer, ci sono poche persone, meno di dieci a decidere cosa e come deve essere la AI.

La vera posta in gioco non è la risposta dell’intelligenza artificiale, che è una grande opportunità per l’umanità e per il globo: la vera posta in gioco è chi decide le domande che possiamo ancora fare.
Perchè nessuna tecnologia è neutra e è sempre costruita da qualcuno, con un’idea precisa di mondo. E proprio per questo, possiamo ripensarla. Ci serve un’AI che ci aiuti a scoprire la verità, non che ce ne consegni una già pronta.

A questo punto entra una parola insolita per un discorso sulla tecnologia, ma necessaria: la gratitudine. Stamane ho chiamato la mia sacerdotessa. Tre secondi, una risposta impeccabile. Sembrava tutto semplice, magico.
Ma niente è magico dietro il mondo dell’intelligenza artificiale : ogni risposta arriva da qualche parte, e da qualcuno. Da lontano. Da realtà che non vedremo mai.
Dall’acqua: un singolo grande data center da 100 megawatt può usare tra i 2 e i 5 milioni di litri d’acqua al giorno, fino a quasi due miliardi di litri l’anno. Con quella quantità d’acqua una comunità di trentamila persone potrebbe vivere per un anno intero, bere, cucinare, lavarsi, irrigare i campi, far funzionare scuole e ospedali. E di questi centri, nel mondo, ce ne sono ormai più di 12 mila.
Dalla terra: per ottenere un solo chilo di alcune terre rare, il materiale da cui dipendono i magneti dei telefoni, delle auto elettriche e dei chip, in molti siti minerari si devono frantumare più di due tonnellate di roccia. Poi quella roccia viene sciolta in acidi forti per estrarre gli elementi. E gli acidi poi finisco nella terra. In Mongolia a Baotou c’è un lago artificiale di circa 15 km quadrati di fanghi e liquidi tossici, consumati per estrarre le terre rare.
Dall’energia: nel 2024 i computer dell’intelligenza artificiale hanno consumato tanta elettricità quanto tutto il sistema ferroviario europeo per un anno intero.
E infine la risposta arriva dai corpi: perché dietro ogni risposta perfetta, c’è una rete di corpi, risorse e fatiche. Un costo materiale enorme, spesso invisibile, che qualcuno, altrove, sta pagando ora.
È la parte del mondo, circa 300 milioni di persone, che lavora in silenzio perché un’altra possa credere di pensare più velocemente. Sono minatori, allenatori della AI, data worker li chiamano. Ci sono giovani, soprattutto donne, nei Paesi del Sud globale, laureate, che per pochi dollari al giorno passano migliaia di ore a filtrare i peggiori contenuti della rete, incluse immagini di pedopornografia; alcune non reggono e arrivano a togliersi la vita. Persone che non vedrò mai e che io non ringrazierò mai. E poi ci sono decine e decine adolescenti ai quali manca il pollice perché amputato dai colpi di martello usati per frantumare i carotaggi delle terre rare necessarie a produrre i chip che alimentano i calcoli delle AI. Ragazzi e ragazze che non conoscerò mai, invisibili, invisibili come la AI.
E potrei continuare con decine di altri esempi colonizzanti e estrattivi. Credo che dire loro grazie non basta.

Dobbiamo smettere di trattare l’AI come un oggetto da usare e iniziare a vederla per ciò che è: un pezzo della nostra mente che sta fuori dal nostro corpo.  Se continuiamo a usarla come Creso usò l’oracolo per sentirci dire ciò che vogliamo allora l’AI non ci aiuterà a capire il mondo, ma solo a confermare le nostre illusioni.
Decidere come costruire questa tecnologia non è compito di governi lontani o di aziende remote: è un atto politico che dobbiamo assumerci. Perchè se l’AI è un pezzo della nostra mente, siamo noi a doverne disegnare la forma, oppure saranno altri a disegnare la forma del nostro futuro.

Domani, quando apriremo una AI, fermiamoci un istante. Non stiamo interrogando un oracolo. Stiamo partecipando a un processo che attraversa il pianeta, che tocca il nostro sistema del sapere e delle vite che non vedremo mai.
La domanda non è se usare l’AI.
La domanda è: come la costruiremo insieme?

Grazie per chi ha ascoltato.

  • carl |

    “IBIS REDIBIS NON MORIERIS”..Un oracolo delfico diventato famoso nelle sue due versioni, differenti l’una dall’altra soltanto per un virgola.. “ANDRAI RITORNERAI, NON MORIRAI” e “ANDRAI RITORNERAI NON, MORIRAI”…
    Quanto alle varie strutture di A.I. (CHATGPT4, Claude, ecc.) disponibili sul “mercato” finora, che lo si creda o meno, personalmente non ne ho contattata nessuna.. A dire il vero, quando comparve la prima ChatGpt fui tentato di farlo, ma poi mi dissi ancora una registrazione, un’altra password.. E lasciai perdere..
    Ma suggerirei un interrogativo a chi voglia porlo a questa o quella struttura di A.I
    “Quanto rende “sinistramente” vulnerabili le moderne società alla loro ubiqua dipendenza dall’ICT…???”.
    E, francamente, non ho alcun bisogno di conoscere la risposta.

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