Villacidro non è solo un luogo geografico. È un varco, un margine tra pietra e vento, tra storie sussurrate e comunità che resistono. Paese di streghe, lo chiamano ancora, evocando leggende che affondano nei boschi ombrosi del Linas, tra acque che scompaiono e ricompaiono, e sentieri dove l’invisibile resta in ascolto. Qui, lo scorso fine settimana, si è tenuta la quarantesima edizione del Premio Giuseppe Dessì, che più che un premio, appare oggi come un rito laico che prova a tenere insieme parole, persone e paesaggio.
Non è banale celebrare la letteratura in un luogo così. Ogni storia qui sa di pietra e memoria, ma anche di periferia e di partenze. E il Premio non si limita a premiare. Cerca, anno dopo anno, di interrogare la comunità: cosa resta delle narrazioni? Cosa possono dire, oggi, i romanzi, le poesie, le biografie, in un luogo che ha visto mutare il proprio tessuto sociale, le sue economie, le relazioni tra generazioni? Così la Fondazione Dessì prova a curare un metodo; quella che altrove è considerata periferia diventa centro, di ascolto, di parola, di attenzione.
Tra gli ospiti e i finalisti, quest’anno, sono emersi sguardi intensi e diversi. La vittoria di Angelo Carotenuto con “Viva il lupo” per la narrativa e di Marco Corsi con “Nel dopo” per la poesia non è solo un fatto letterario: è un segnale. Le opere premiate parlano di margini, di ritorni, di metamorfosi. Temi che risuonano con le tensioni profonde di un territorio come questo, che sta ancora cercando il proprio posto in una geografia instabile.
Ma prima del premio, c’è la terna finalista, l’ossatura di confronto e selezione, fatta di opere capaci di portare nel cuore del Premio voci diverse e interroganti: dalla delicatezza poetica di Marco Corsi, alla profondità simbolica di Alessandro Canzian, passando per l’intimità luminosa di Alessandra Corbetta; dalla scrittura appassionata e civile di Angelo Carotenuto, all’incredibile sensibilità diasporica di Laura Imai Messina, fino alla testimonianza politica e umana di Luigi Manconi.
Accanto ai premi principali, sono stati conferiti anche due riconoscimenti. Il Premio Speciale della Fondazione di Sardegna è andato a Marco Paolini, per la sua capacità di trasformare la narrazione teatrale in strumento di consapevolezza collettiva, mentre il Premio Speciale della Giuria è stato assegnato a Lella Costa, attrice e intellettuale che da anni attraversa con ironia e profondità i territori della parola pubblica. Due figure diverse ma accomunate da una sensibilità attenta ai margini e alle crepe del nostro tempo.
La Fondazione Dessì, che organizza il premio, ha il merito di non aver trasformato l’evento in una semplice cerimonia. Accanto alla rassegna, si è svolta una settimana di incontri, laboratori con le scuole, dialoghi in piazza, camminate nei luoghi vissuti e narrati dallo stesso Giuseppe Dessì. E così più di 40 incontri sul territorio durante tutto l’anno. Figure della cultura nazionale e locale si sono alternate, ma a emergere è stato soprattutto il desiderio collettivo di restituire senso al racconto come pratica di coesione.
Villacidro, con le sue contraddizioni, si lascia raccontare. Da una parte, una comunità viva, fatta di associazioni, lettori, insegnanti, artigiani, che mantengono accesa la lingua e la memoria. Dall’altra, una fatica evidente: anche qui come nella gran parte dei territori e nonostante gli sforzi del Sindaco, le nuove generazioni oscillano tra partenza e ritorno, e il rischio è che la letteratura venga percepita come evento, e non come processo.
In questo contesto, la Fondazione sta provando a immaginare un metodo. Non un progetto calato dall’alto, ma un percorso condiviso in cui la letteratura diventi strumento per abitare il territorio. Non solo Dessì, ma anche altri autori, altre storie, altre memorie. L’idea è quella di costruire, con pazienza, una trama dove il racconto non sia solo rievocazione, ma forma di futuro. Un parco letterario che non sia museo all’aperto, ma dispositivo vivo, capace di far dialogare le pietre con le voci.
Il Premio, in questa visione, è solo la punta visibile. Sotto, c’è un lavoro più profondo che riguarda la governance culturale, la capacità di tenere insieme enti pubblici, cittadini, scuole, operatori, in una forma nuova di alleanza narrativa. Non è semplice, ma Villacidro ha già dimostrato di poter essere, pur tra le difficoltà, un luogo dove la parola torna a valere. Non solo per celebrare il passato, ma per trasformare il presente.