Navigare la scienza, in Sardegna si può

Michele Kettmajer e Nicola Pirina

Alcuni anni fa una fondazione francese decise che la scienza non doveva restare chiusa nei laboratori. Mise un laboratorio su una nave e cominciò a solcare mari, porti, scuole. Attraccava in luoghi diversi del mondo, apriva ponti mobili, tende sperimentali, faceva esperimenti con bambine e bambini, insegnanti, comunità. Non offriva formule già scritte, ma esperienze vive. Faceva della scienza una forma di ospitalità, non di autorità.

Quel gesto, carico di concretezza e idealità, arriva in Sardegna e prende corpo nei progetti di Carole Salis e dello staff Edutech, grazie alla visione e alla lungimiranza del CRS4 e della Regione Sardegna, che hanno creduto fin dall’inizio nella possibilità di costruire un’infrastruttura educativa pubblica, distribuita e accessibile.

Carole Salis, madre e tecnologa, si occupa da oltre trent’anni di educational technology. Lavora come ricercatrice senior al CRS4, dove coordina il gruppo Edutech. Laureata all’Università di Montréal, ha operato anche nella cooperazione internazionale e si è dedicata a progettare sistemi educativi capaci di integrare strumenti digitali, metodo scientifico e consapevolezza territoriale. Non crea app, ma modelli, non parla di piattaforme, ma di processi. Con pazienza e precisione ha fatto nascere insieme ad altri RIALE: non un prodotto, ma un’infrastruttura cognitiva distribuita. Come una madre, non ha imposto una forma, ma ha accompagnato una crescita.

Così in Sardegna la metafora della nave si è trasformata in realtà immateriale, decidendo di non replicarla, ma di tradurla. Non più trasportare fisicamente la scienza, ma farla viaggiare nei cavi, nei segnali, nelle reti. Nasce così RIALE EU: un progetto che porta laboratori scientifici remoti dentro le scuole, anche le più isolate, non come contenuti registrati, ma come esperienze in diretta.

Il cuore dell’iniziativa è una timeline scientifica: ogni fase dell’esperimento è documentata, visibile, interrogabile. I laboratori si aprono in tempo reale, i ricercatori mostrano cosa accade, gli studenti pongono domande. Il tempo dell’esperienza viene dilatato, rimontato, condiviso. La scienza non viene spiegata, ma mostrata nella sua evoluzione incerta.

RIALE è figlio di progetti precedenti, ma ne supera i limiti: non è una didattica digitale, è una forma di trasmissione lenta della conoscenza viva, che tiene insieme tecnologia e contesto. La differenza si vede dai numeri e dal metodo: prima ancora che arrivasse il lockdown, l’antenato diretto del progetto (IDEA) ha avviato le sperimentazioni ad aprile 2019, proseguendo nel pieno dell’emergenza (febbraio 2020–marzo 2021). Hanno partecipato 398 docenti, 122 scuole e migliaia di studenti sardi (8–10 mila), lavorando su realtà aumentata, pensiero computazionale, IoT e accesso remoto. È una continuità di pratica didattica: la comunità professionale è stata messa nelle condizioni di fare e rifare, rifinire, scalare.

E poi c’è la cifra europea che non è etichetta: la rete si è allargata a laboratori nazionali ed europei con attività anche in inglese. È un pezzo della più ampia tendenza continentale alla remotizzazione dell’accesso ai laboratori e alla collaborazione scuola-ricerca, che riduce le barriere d’ingresso alle esperienze pratiche di qualità.

E questa scelta non è neutra, perché la Sardegna, troppo spesso raccontata come periferia, è in realtà un nodo cruciale della rete mediterranea. Qui passano cavi sottomarini che collegano Europa, Africa e Asia. Qui si potrebbe costruire una pedagogia distribuita, fondata su esperienze e relazioni, non su centralità geografiche.

La scienza che una volta viaggiava su onde fisiche oggi naviga un Mediterraneo invisibile, fatto di bit e fibre ottiche e la Sardegna non è più un’isola, ma un varco. Da qui può partire una visione nuova dell’educazione: non verticale, ma orizzontale, non centrata sulle risorse, ma sui metodi, non fondata su ambienti chiusi, ma su processi aperti e interoperabili.

Il futuro di RIALE è una scommessa sul possibile: garantire accessibilità anche con hardware a basso costo, replicabilità nei contesti fragili, autonomia dai grandi attori della tecnologia educativa. La scienza, in questa visione, non è un contenuto da consumare, ma un percorso da attraversare; non un bene da distribuire, ma un diritto da abitare.

Carole Salis e tutte le persone e le istituzioni che ci credono non cercano visibilità. Ma hanno costruito qualcosa che si vede da lontano. Non tutte le navi hanno bisogno di vele. Alcune solcano mari cognitivi, tracciando rotte nuove tra scuola e ricerca, tra territorio e infrastruttura, tra ciò che siamo e ciò che possiamo ancora imparare a vedere.

E tutto questo non sarebbe stato possibile senza la fiducia della Regione Sardegna, che ha sostenuto il progetto nel tempo, credendo nel valore di un’infrastruttura educativa pubblica ma soprattutto nelle comunità che la curano. E non sarebbe nato senza il lavoro quotidiano, collettivo e tenace di tutto il gruppo Edutech del CRS4, che ha trasformato un’intuizione in un dispositivo concreto, funzionante, replicabile.

La Sardegna non si limita a partecipare: anticipa, non perché marginale, ma perché interconnessa. RIALE-EU non è un episodio ma un precedente, un segnale tangibile che dall’isola può partire un’onda lunga: laboratori che si aprono al mondo, intelligenza artificiale che diventa metodo, scuole che non si adattano al cambiamento, ma lo orientano. Il CRS4 e la Regione Sardegna hanno scelto di non restare spettatori: hanno costruito un’infrastruttura educativa che rende prossima anche la distanza, che trasforma la geografia in progetto. È da qui, da queste scelte silenziose e radicali, che si scrive l’avanguardia. Non nei proclami, ma nei dispositivi che durano e che aprono strade.

Immagine: sito Riale EU