Quarant’anni di Dessì: il premio che forza il tempo

Dalla memoria alla reinvenzione: la Fondazione e il Premio come laboratorio vivo, capace di proiettare la Sardegna oltre i suoi confini senza smarrire le radici.

In Michele Boschino, romanzo del 1942, Giuseppe Dessì costruisce un dispositivo narrativo a doppio registro: una voce distaccata, quasi documentaria, e una più intima, segnata dalla memoria. L’ambientazione è Villacidro, microcosmo sardo dove il mondo rurale convive con i primi segnali di un cambiamento che viene da lontano. È un romanzo che non chiude, ma apre: trasforma l’isolamento in lente per osservare il fuori, e il fuori in specchio per ripensare il dentro.

Questa tensione tra radici e apertura è la stessa che anima la Fondazione Giuseppe Dessì, con la Presidente Debora Aru e tutta la sua squadra. Nata negli anni’ 80, non è solo archivio, ma casa-museo, biblioteca, centro studi, luogo di educazione e ricerca. Qui le carte, i diari, i romanzi e le lettere dello scrittore diventano materia viva, non reliquia. E ogni settembre con il Premio Letterario Giuseppe Dessì, quest’anno si celebra la quarantesima edizione di questo evento con la premiazione finale il 4 ottobre, questa energia esce dalle stanze dell’archivio e si fa spazio pubblico: narrativa, poesia, premi speciali che portano a Villacidro autori e lettori da tutta Italia, ridisegnando per qualche giorno la geografia culturale dell’isola.

Il Premio non è un rituale celebrativo. È un varco: collega la Sardegna letteraria con il dibattito nazionale, innesta le voci locali in una rete di scambio, e fa sì che un territorio periferico possa parlare al centro senza chiedere permesso. Come in Michele Boschino, la distanza non è barriera ma strumento: un filtro per capire, un’angolazione che restituisce profondità.

Forse il vero compito di un premio letterario non è premiare, ma forzare il tempo. La Fondazione Dessì custodisce un archivio, sì, ma quell’archivio è anche una miniera inesplorata, un luogo dove la memoria non sta ferma: fermenta. Ciò che oggi è carta, domani può essere voce, mappa, nuvola, linguaggio ibrido capace di attraversare confini e formati.

Un’isola che vuole restare viva non deve chiedersi come conservare le sue storie e le sue tradizioni, ma come usarle per sabotare l’inerzia. Le reti invisibili, il digitale, l’intelligenza artificiale con i suoi dati, che oggi collegano il mondo non sono fatte solo di fibre e impulsi: vivono di ciò che viaggia dentro di esse. E in quel flusso, la Sardegna può immettere più di una cartolina: può immettere il proprio lessico, le sue ombre, le sue fratture, le sue voci.

Il Premio Dessì, allora, non è un appuntamento nel calendario culturale. È un test di resistenza: verificare se un territorio ha ancora la forza di reinventarsi partendo dalle proprie parole, e di proiettarle là dove nessuno si aspetta di sentirle.