Beatrice Chizzola, che da ricercatrice scava, con la discrezione dei giusti, nelle crepe del presente, alla ricerca di un equilibrio cibernetico tra l’Occidente che consuma e i Paesi del Sud Globale che pagano il conto, prova a ridisegnare i confini del possibile. Mi ha inviato questo articolo che pubblico.
di Beatrice Chizzola. (beatricechizzola2004@gmail.com)
Ogni giorno Kasadi Kasongo si cala per 30 metri in una delle migliaia di miniere di cobalto nella Repubblica Democratica del Congo per estrarre a mani nude il prezioso metallo che ogni singolo dispositivo elettronico dotato di batterie agli ioni di litio contiene al suo interno. Kasadi rischia quotidianamente di perdere un dito, una mano, un braccio o la vita, e un numero incalcolabile di altri minatori senza scelta come lui condividono lo stesso destino.
Ieri, domenica 8 giugno, mentre il documentario di DW che racconta la storia di Kasadi veniva trasmesso sul canale dell’emittente pubblica tedesca, Figure, una tra le società di robotica più all’avanguardia del pianeta, pubblicava un video di 60 minuti e 8 secondi. Nella clip, Helix, un robot umanoide che come gran parte delle tecnologie avanzate funziona grazie al cobalto estratto nelle miniere congolesi, viene mostrato mentre smista pacchi ininterrottamente per un’ora consecutiva. Niente fatica, niente distrazioni, solo precisione meccanica che nessun lavoratore dotato di corpo umano potrebbe garantire.
Ecco poche righe che racchiudono l’assurdità del nostro secolo.
Mentre da una parte il futuro del lavoro manuale è incerto perché robot possono integrarsi nella catena di montaggio con un’efficienza che la fatica fisica non permette, dall’altro lato del globo la stessa forza fisica viene sfruttata nelle attività lavorative più pericolose ed estenuanti. Attività volte a sostenere un progresso tecnologico selettivo, asimmetrico ed estrattivo, di cui Helix è solo uno dei tanti esempi.
Stessa tematica, due battaglie parallele che riflettono grandi disparità: il divario tra chi ha il potere e lo usa e chi, privo di risorse economiche e dunque di strumenti per esercitare pressione, viene sottomesso.
Un mondo, due velocità, stesso disorientamento costante.
Da una parte il progresso tecnologico corre a ritmi inafferrabili, dall’altra le dinamiche di potere e sfruttamento sono ferme da centinaia di anni.
La politica? Immobile. Incapacità di affrontare il passato, incapacità di guardare al futuro.
E noi, persone comuni? Ognuno ha di fronte un’autostrada a corsie parallele, ogni corsia con la sua ingiustizia e le sue vittime. Ogni corsia, una battaglia.
La domanda sorge spontanea: quale intraprendere? Partendo dal presupposto che ogni responsabilità individuale è proporzionale alla propria capacità d’azione, nessuno è in dovere di farsi carico di fardelli che le spalle non possono sostenere. Tuttavia, un primo passo che ognuno ha la possibilità di muovere è quello di riconoscere queste battaglie, non lasciarsi assuefare dalla complessità e, a volte, dall’assurdità di queste dinamiche. Il filo comune esiste ed è la difesa del valore umano, qualunque ne sia il suo detrattore.
Ognuno ha la responsabilità di non rassegnarsi allo status quo, perché quella sarebbe la vera sconfitta: l’arresa al passato e la rinuncia al futuro.