Chi si potrà permettere l’umanità nel tempo dell’intelligenza artificiale?

Secondo uno studio condotto da ricercatori di Stanford e della University of Washington, fino al 15% dei contenuti online, tra comunicati stampa, annunci di lavoro e persino reclami dei consumatori, sono generati o modificati da modelli di AI generativa

Un’analisi linguistica ha stimato che almeno il 30% dei testi presenti su pagine web attive proviene da fonti generate dall’IA, con una percentuale reale che potrebbe avvicinarsi al 40%.

Un’analisi condotta su Medium ha rilevato che oltre il 47% dei post recenti è probabilmente generato da IA, con picchi del 78% in categorie come “NFT” e “web3”

Europol ha previsto che fino al 90% dei contenuti online potrebbe essere generato sinteticamente entro il 2026.

Uso spesso al lavoro le AI generative per aiutarmi a correggere le mie imperfezioni, forse diminuisce la mia autenticità ma forse la AI mi aiuta a farmi capire meglio. Ma non è questo il punto. Credo sia giusto uscire dalla trappola dell’unicità dell’ autenticità umana, dall’unicità della sua creatività, insomma dall’essere migliori della AI perchè siamo più consapevoli, perchè pensiamo e altre cose così.

La produzione umana è spesso mediocre. Non tutto ciò che è “umano” porta qualità, originalità o valore intrinseco. La maggior parte dei contenuti creati ogni giorno (video, articoli, musica) sono ripetitivi, banali o semplicemente irrilevanti. Spesso non aiutano e sono divisivi anche se legittimi. Molti contenuti sui media digitali o tradizionali sono un grande esempio di questa banalità. L’umano non è garanzia di qualità, è garanzia di varianza: può nascere il capolavoro come della spazzatura. C’è un sacco di rumore, certo fatto anche dalla AI.

La mano artigiana non è per forza migliore di una mano meccanica, soprattutto se la mano meccanica impara o meglio, in gergo AI, è allenata dalla nostra esperienza.Non basta essere umani per essere preziosi nella produzione di contenuti, anche se ogni contenuto, se fatto con responsabilità e impegno, credo meriti dignità.

Il rischio enorme, che porta ancor più verso l’ingiustizia sociale, è continuare a dimostrare e raccontare che i contenuti fatti dall’uomo sono più preziosi e più originali perchè porta questi contenuti a essere un bene di lusso, beni rari. Molto affermano che man mano che l’AI produce contenuti sempre più raffinati e indistinguibili da quelli umani, la vera rarità risiede nell’autenticità umana. In questo contesto, le esperienze, i prodotti e i contenuti creati da esseri umani acquisiscono un valore di “lusso”, non perché siano perfetti, ma proprio per le loro imperfezioni e per l’intenzionalità che li caratterizza. E per essere sempre più beni scarsi.

Ma se il bene “contenuto umano” diventa di lusso, chi porta permetterselo? Già oggi assistiamo a una divisione netta: contenuti generati dall’AI per la massa (economici, veloci, infiniti), e contenuti umani per chi può spendere (opere originali, consulenze personalizzate, esperienze artigianali). Se il trend si consolida, l’autenticità diventa privilegio.

Chi non può permettersi il “lusso umano” vivrà in un ambiente saturo di contenuti omogeneizzati, fabbricati in serie, pensati per attirare l’attenzione e manipolare comportamenti. L’accesso a qualcosa di veramente umano (arte, cultura, educazione) sarà mediato dal denaro.

L’educazione pubblica sarà popolata da contenuti standardizzati, generati da IA, in una formazione di massa sempre più livellata verso il basso. Ci sarà un’educazione d’élite con un livello umano altissimo, tutor umani personalizzati e mentorship reali. E lo stesso varrà per l’arte, l’intrattenimento e la consulenza. Solo in una cosa ci sarà ancora bisogno dell’umano e sarà salvifica: le emozioni e la spiritualità.

Ma il futuro immaginabile è anche un altro se sapremo sviluppare competenze non replicabili dall’AI con un pensiero critico avanzato: saper analizzare, connettere, inventare nuove categorie. Non solo ragionare su dati esistenti (che l’IA fa meglio), ma creare modelli nuovi. Con una capacità emotiva profonda: gestire empatia, conflitto, intuizione emotiva. Non soft skills generiche: capacità raffinate di connessione interpersonale. Con una visione sistemica: vedere cause, effetti, relazioni tra sistemi complessi (ecologia, società, economia) che l’AI fatica a integrare fuori da un task specifico. Saper coltivare l’arte come resistenza.

E poi costruire comunità umane ad alta intensità di relazione, con eventi fisici reali, reti di fiducia, valorizzando l’economia relazionale, riconoscere il lavoro che si basa su relazione, su fiducia e reputazione. La spiritualità dell’umanità e della natura tornerà a essere centrale. Ma non sarà un diritto. Sarà un’arte di resistenza.

 

Immagine: Una sera di sciopero, Eugène Laermans, 1893