Indy Johar, che è uno molto bravo, ha postato su Linkedin questa bozza di manifesto. Di alcune cose si discute ormai da anni, altre, almeno per me, sono molto interessanti.
- Le crisi non saranno più cicliche ma tendono sempre al negativo.
- Le bio-regioni trattano risorse, energia e dati come patrimoni locali da rigenerare.
- I materiali cambiano: il cemento cede al legno ingegnerizzato, la moda passa dalla vendita di abiti all’affidamento di beni da custodire
- Serve una finanza che sappia valutare asset rigenerativi, che investa su suolo, foreste e capacità democratiche.
- Capacità di amare futuri che non vedremo
Altri due molto bravi Flaviano Zandonai e Paolo Venturi indagano da anni questi temi e allora chiedo a loro, salutandoli con amicizia, che ne pensano.
Qui una mia interpretazione del suo manifesto:
We Have Failed
Opening the wound
Molte delle iniziative nate per cambiare il sistema si sono arrese alle stesse logiche che dichiaravano di voler superare. Impact Hub si è trasformato in una rete commerciale di coworking, WikiHouse ha dovuto rincorrere modelli prefabbricati di fascia alta, il concetto di Open Desk è stato ridotto a un pretesto per tagliare costi sugli spazi di lavoro. La tensione a innovare è rimasta bloccata dentro bilanci trimestrali, metriche di efficienza, obblighi di scalabilità. Abbiamo creduto di costruire alternative, ma senza modificare il telaio economico abbiamo solo dato nuova forma agli stessi vecchi meccanismi.
Degenerative volatility: the new baseline
Non siamo più in un mondo stabile con oscillazioni occasionali. La volatilità stessa si è fatta degenerativa: ogni crisi non si limita a turbare, ma abbassa irreversibilmente il livello di stabilità. Il clima, i mercati, il patto sociale si sfaldano insieme. Senza stabilità, gli asset finanziari diventano illusioni collettive, incapaci di reggere il peso della realtà fisica che li sostiene.
Material and bio-regional transformation
La trasformazione è materiale prima che simbolica. I cicli globali si spezzano, e al loro posto emergono bio-regioni che trattano risorse, energia e dati come patrimoni locali da rigenerare. I materiali cambiano: il cemento cede al legno ingegnerizzato, la moda passa dalla vendita di abiti all’affidamento di beni da custodire. Chi insiste su filiere lineari e globali sarà rapidamente marginalizzato.
Re-inventing the human economy
L’economia industriale si basava su esseri umani ridotti a funzioni prevedibili. Oggi questa logica è incompatibile con un pianeta complesso e interdipendente. Il futuro richiede intelligenze multiple, tecnologie orientate alla cura, economie che privilegiano la relazione e la resilienza rispetto all’ottimizzazione cieca.
From national security to system security
La sicurezza non può più essere nazionale. Nessuna Nazione può difendersi da solo dal collasso climatico, dalla scarsità idrica, dalla perdita di suolo. O si costruiscono infrastrutture planetarie di sicurezza condivisa, o ogni sforzo sarà destinato a fallire. La logica da adottare è sistemica, non sovranista.
Capital 2.0: arbitraging today’s price against tomorrow’s value
La finanza d’impatto tradizionale è un compromesso inefficace. Serve una finanza che sappia valutare asset rigenerativi, che investa su suolo, foreste, capacità democratiche, e che difenda gli investimenti contro la volatilità sistemica. Chi continua a misurare il valore solo in termini di ROI immediato si condanna all’irrilevanza.
The risk of moral procrastination
Il tempo non è più elastico. Se chi vuole cambiare le cose continua a tergiversare, sarà la destra radicale a occupare il campo, trasformando la scarsità in esclusione e militarizzazione. La storia insegna che nei momenti di complessità insostenibile, la paura vince se l’immaginazione cede.
A candid invitation
Non serve disperazione performativa, serve serietà inventiva. Bisogna investire in catene di valore complete, trattare la democrazia come un’infrastruttura economica, mescolare capitale pubblico e privato in architetture flessibili, radicare ogni iniziativa nella realtà bio-regionale, estendere il concetto di sicurezza ai beni vitali condivisi. Senza questi cambiamenti strutturali, ogni altra azione sarà cosmetica.
Conclusion: the work worth doing
Abbiamo ancora una finestra, stretta ma aperta, per evitare che la volatilità degenerativa diventi irreversibile. Questo non richiede ottimismo, ma coraggio, alfabetizzazione sistemica e capacità di amare futuri che non vedremo. Il tempo degli aggiustamenti incrementali è finito. Adesso serve costruire civiltà nuove, non rattoppare quelle morenti.
Immagine: “Il seminatore” di Jean-François Millet (1850). Un uomo avanza su un campo scuro, gettando semi a larghe falcate, con un gesto ampio e sicuro. Il cielo è pesante, la luce è smorzata, la terra sembra assorbire la sua fatica senza promettere nulla. Non c’è gloria né spettacolo, solo il movimento ostinato di chi sa che il raccolto, forse, non sarà per lui. Il seminatore di Millet non guarda indietro, non si ferma: compie il suo dovere verso un futuro che resterà invisibile ai suoi occhi.