Il fatto certo è che la AI più che intelligenza artificiale è intelligenza aziendale. Ciò che l’ha resa possibile sono certo i dati, la potenza di calcolo e non tanto più di tecnologia. Ma ciò che l’ha definita e l’ha fatta diventare quello che è ora sono il denaro e il potere. Da qui bisogna ripartire. Beatrice Chizzola che è una ricercatrice della relazione di reciprocità tra nord e sud globale prova qui sul mio spazio a interrogarsi per un metodo collaborativo della AI, questa volta non aziendale ma artificiale. La ringrazio per questo.
IA e responsabilità umana: quale sarà il futuro del divario tra Nord e Sud globale?
di Beatrice Chizzola
Il dibattito riguardo la natura dell’intelligenza artificiale è polarizzato: da una parte c’è il post-umanista che associa all’IA una connotazione salvifica in quanto avrebbe la capacità di emancipare l’uomo dal suo naturale stato di fragilità, dall’altra c’è il cosiddetto neo-luddista che ha elaborato una concezione catastrofica ritenendo l’IA un nuovo mezzo di oppressione degli uomini. Questa contrapposizione è riscontrabile tanto nel campo scientifico quanto in quello etico o sociale. Se si apre la pagina di Google e si digita “IA e razzismo” oppure “IA e Sud del mondo”, appaiono una lista di innumerevoli articoli o pubblicazioni in cui l’intelligenza artificiale è accusata di atteggiamenti razzisti e di perpetrare il divario tra Nord e Sud globale. Tuttavia, imputare questa tecnologia per i capi d’accusa sopra citati sarebbe come incolpare le armi per i conflitti esistenti e non chi li pianifica e dichiara. Se la realtà fosse veramente questa nel momento in cui le armi venissero bandite le guerre cesserebbero di esistere, eppure in primischi ha il potere di vietare le armi non lo fa, in secundis c’è ragione di credere che se queste non esistessero verrebbe utilizzato qualche altro strumento per proseguire le guerre. Similmente, accusare l’intelligenza artificiale di colpe storicamente umane è un modo conveniente per deresponsabilizzare i veri responsabili.
Per scagionare l’IA dall’accusa di rimarcare le differenze e gli squilibri tra Nord e Sud del mondo bisogna provare che in realtà, se chi la utilizza esprime la volontà di superare questo divario, lei si dimostra collaborativa (pur tenendo sempre a mente il limite posto dai biasconnaturati in essa, effetto collaterale della qualità dei dati utilizzati finora per addestrarla). Abbiamo chiesto a “Claude.ai” in che modo l’intelligenza artificiale potrebbe aiutare in questo scopo e nel giro di pochi secondi ha fornito un’analisi dettagliata di benefici e rischi. I campi in cui l’IA offre il suo aiuto sono cinque, in ordine: istruzione, sanità, agricoltura, sviluppo economico e governance. Non si tratta di “semplici” buoni propositi, ma realtà. In un articolo di “Brookings” del primo novembre 2023 Chinasa T. Okolo offre uno scorcio di quelli che sono stati gli sviluppi negli ultimi anni in campo agricolo, medico e educazionale nel Sud del mondo grazie all’impiego dell’IA, dimostrando come questa tecnologia possa effettivamente significare progresso per tutti. In Africa si stanno costruendo modelli di intelligenza artificiale (deep learning object detection model) capaci di diagnosticare malattie all’interno delle piante. Un esempio è “Nuru”, uno strumento di diagnosi che non necessita di connessione ad internet, requisito necessario in alcune zone del Sud del mondo come l’Africa Sub-Sahariana in cui nel 2021 solo il 36% della popolazione aveva accesso a internet (dati ufficiali del World Bank Group). Nel campo della sanità un progetto degno di nota è “mMitra”. Questo servizio, implementato nello stato di Maharashtra in India, coinvolge 3.6 milioni di donne le quali, durante la gravidanza e l’infanzia, ricevono informazioni su cure preventive direttamente sul loro telefono nella lingua e fascia oraria prescelta. Un progetto in espansione proprio grazie alla collaborazione con “Google Research India on Artificial Intelligence” che ha permesso di creare un prediction model for low listeners, cioè un modello che analizza e prevede tendenze di ascolto in contesti in cui il numero di utenti è basso. Anche il campo dell’educazione ha beneficiato dell’avvento dell’IA rendendo, ad esempio, più agevole e accessibile l’apprendimento dell’inglese anche nel Sud globale. Al giorno d’oggi conoscere l’inglese è requisito fondamentale per poter studiare o lavorare all’estero, dunque possedere la lingua può ampliare drasticamente il range di opportunità per i giovani desiderosi di riscatto sociale o più semplicemente un futuro migliore. In uno studio del 2020 pubblicato su “Turkish Journal of Computer and Mathematics Education” una classe di 40 ragazzi frequentanti un istituto secondario superiore thailandese ha migliorato l’apprendimento dell’inglese grazie a un algoritmo che raccoglieva dati riguardo la comprensione dei vocaboli e della struttura della frase.
È evidente che le opportunità ci sono, ciò di cui l’esistenza è dubbia è la volontà di sfruttarle. Il report del 2023 del “Network Readiness Index” evidenzia che il rapido avanzamento dell’intelligenza artificiale può esacerbare i livelli esistenti di iniquità e le divisioni sociali tra Nord e Sud globale presentando tre casi esemplificativi nel campo del lavoro, della conoscenza e della sanità. Il futuro del lavoro nell’era della tecnologia è incerto soprattutto in tutti quei paesi la cui economia si basa su industrie che richiedono un alto tasso di manodopera, dunque la maggior parte di quelli in via di sviluppo. Per quanto riguarda la conoscenza, le ricerche e le pubblicazioni nel campo dell’explainable AI sono estremamente scarse nel Sud globale rendendo il dibattito scientifico sbilanciato a favore dell’Occidente. Sul tema sanitario, le discriminazioni dilagano. I dati forniti all’IA provengono principalmente dal Nord del globo dunque riflettono le caratteristiche dell’etnia caucasica. Tuttavia, le tecnologie che si basano su questi dati vengono impiegate anche per curare soggetti con fenotipi differenti andando a elaborare valutazioni imprecise se non errate. Si arriva così ai famosi rischi di cui “Claude.ai” avvertiva in risposta alla domanda sulle potenzialità dell’IA nel migliorare il divario tra Nord e Sud del mondo, come la perdita di posti di lavoro o il gap digitale.
Urvashi Aneja, ricercatrice indiana impegnata nella distribuzione equa e giusta dei guadagni tecnologici, spiega che i sistemi di intelligenza artificiale o machine learning sono status quo technologies, cioè tecnologie che riproducono il futuro basandosi sul passato, dunque i dati che gli vengono forniti da noi uomini. La questione fondamentale quindi non è se l’intelligenza artificiale possa essere più inclusiva, la vera sfida, almeno fino a quando avremo ancora il potere di cambiare narrativa, è capire se la vogliamo veramente.
Beatrice Chizzola