Le righe che seguono partono dalle scuse. Le storie dei protagonisti dell’innovazione in Altrovest non appartiene solo a quelli che abbiamo incontrato ma è anche quella di chi sta provando e di quelli che non abbiamo conosciuto. E le mie scuse non bastano per non poter averli incontrati o raccontati qui. Ci vuole un’altro grande lavoro di Kitzanos, a cui do una mano come senior advisor, e dei partner istituzionali che hanno promosso e realizzato il progetto Altrovest, per proseguire questo metodo.
Esiste un modello dell’ospitalità, un laboratorio dell’innovazione della costa occidentale della Sardegna? Esiste la possibilità di un’Altrovest?
Come il modello italiano anche quello sardo sembra non essere in linea con i parametri dell’innovazione; ricerca, ventur capitalist, alta digitalizzazione passano non sempre vicini. C’è una continuità temporale e storica, in proposito: gli italiani, che esistono molto prima dell’Italia, non paiono bravi a prevedere il futuro, ma quando sono costretti ad adattarsi non ci mettono molto a imparare il necessario. E hanno un modo diverso di innovare che non è registrato dagli indicatori internazionali standard.
Forse il punto di contatto è la tradizione che anche qui in Sardegna sulla costa ovest ho sentito nominare molte volte non solo nel racconto ma anche nel modello produttivo e organizzativo. Da Tramatza inizia l’esplorazione del possibile del progetto Altrovest; come aiutare nella trasformazione della costa ovest a territorio dedito all’ospitalità.
“La tradizione è il nostro futuro” ci ricorda Davide dell’azienda agricola Orro e ha ragione a patto che la tradizione non sia rifare ciò che si è sempre fatto, ma diventi una delle fonti della conoscenza di come sono fatte le cose, il lavoro ben fatto direbbe il mio amico Vincenzo Moretti. E la fonte di conoscenza sulla qualità, è rigogliosa solo se si espande nella quotidianità tecnologica e sociale contemporanea. Esiste un legame molto forte tra tradizione, storia del luogo e il metodo innovativo.
Davide Orro ricorda come fino a 30 anni fa avere piantagioni di olivi in Sardegna era considerato un debito impossibile. Si spendeva per piantare, si spendeva per coltivare, per produrre e stoccare nella speranza che qualcuno dopo due anni sarebbe passato a comperare l’olio. A Tramatza i contadini preparavano durante il periodo del raccolto l’oia pistada, olive schiacciate; provare a riproporle a lunga conservazione e senza chimica è la sfida per non entrare in competizione con le olive in salamoia greche o spagnole. La famiglia Orro e con lui molti della zona iniziano a recuperare le vecchie ricette e provano decine di combinazioni tra olio, finocchietto e aglio. Servono tre anni prima di trovare la ricetta perfetta e poi rimane come trasformare il prodotto da ricetta a conservato. C’è bisogno di una ricerca su come farlo. Davide chiede al padre di dare una mano per capire come ma il padre alza le mani. “Sto spendendo un sacco di soldi per farti studiare agronomia oggi questo passo tocca a te”
Questo è il breve racconto di una grande ricerca e di un capitale di ventura per trovare un grande prodotto ma sicuramente non sono stati contabilizzati nei bilanci dell’azienda cosa che avrebbero fatto immediatamente le aziende estere che cercano capitali sui mercati finanziari e che tentano in ogni modo di far conoscere la loro attenzione per la ricerca. Anche in questo caso i parametri internazionali dell’innovazione non rilevano di certo la ricerca dell’oia pistada.
L’innovazione non si misura tanto per la ricchezza che genera o per la tecnologia che introduce, ma per i risultati comunitari, culturali, ambientali che produce; e ha bisogno di un tempo lento al quale è dedicato il valore della sostenibilità. E il tempo lento si percepisce attraversando San Leonardo de Siete Fuentes. Fa fresco, siamo a fine giugno e a un trentino, come chi scrive, ricorda il paesaggio alpino. Dal Mediterraneo alle Alpi c’è un salto importante. L’innovazione e l’ospitalità che si fa in orizzontale è un percorso molto diverso da quello che si fa in verticale. E i modi lenti consapevoli e sostenibili qui sono come lassù.
Come la storia di Carlo Pische e delle sue distillerie di Santu Lussurgiu. Noi, a proposito di tempo, arriviamo all’appuntamento in ritardo e lui pure. Pische ha un’ officina meccanica ma capisce che il suo territorio ha risorse importanti. Prova cosi a tracciare una prospettiva futura, che per avere una possibilità di successo non dovrebbe partire da ciò che in un territorio non c’è: al contrario, deve partire da ciò che c’è. C’è l’elicrisio e in particolare una sottospecie che è esclusiva della Sardegna, della Corsica e delle Baleari. Cosi il passo alla sua distilleria tra liquori, distillati e cioccolata diventa naturale.
Mentre Gianluca Manca, sardo, nazionale velista, tra i primi agli inizi degli anni 2000 a credere e a provare a fare impresa con il citizen journalism, in auto in uno spostamento da una tradizione a un’altra mi racconta che forse i sardi, come gli italiani si sono fermati al Rinascimento. Allora dal Rinascimento, dalla storia italiana e sarda si può pensare che un modello innovativo diverso esiste. L’innovazione così diventa il frutto della realtà che li ha resi possibili. Soprattutto dal punto di vista storico e culturale. La fioritura artistica, scientifica, urbanistica, economica dei territori italiani si innesta sulle fondamenta delle grandi civiltà antiche. E pare che sia andata proprio cosi anche nella costa ovest della Sardegna. A Cabras, dove si produce la bottarga di muggine, visitiamo cosi il parco archeologico di Tharros, antico insediamento nuragico e poi il museo civico Giovanni Marongiù dove si possono vedere i giganti di Prama. Imponenti sculture a tutto tondo che potrebbero riscrivere la storia del Mediterraneo ammesso che qualcuno voglia davvero restituire la verità. Qui ci stanno provando.
L’ospitalità non è più motivata soltanto dall’esigenza di competere sui mercati, ma va pensata in funzione del contributo che occorre dare per affrontare la sfida climatica e sociale di questi prossimi decenni. E è motivata anche alla volontà di far crescere il proprio territorio in un rapporto di mutuo soccorso. E con questo spirito se passate a Tresnuraghes venite accolti a Villa Asfodeli, un bike hotel diffuso, da Maria Cristina e suo marito Guglielmo. E la loro accoglienza e quella della comunità prosegue la sera a Bosa, difficile trovare borghi più belli, su un battello che risale lento la foce del fiume Temo.
Le istituzioni che hanno attivato Kitzanos per il percorso di Altrovest sono alla ricerca di un progetto territoriale di sviluppo possibile e necessario, in una nazione ormai scettica e umiliata dal continuo passaggio di storytellers più interessati a raccogliere tanti like immediati che a produrre risultati. Così sul battello che risale non solo il fiume ma anche la storia del territorio conosco Lucia Cosseddu che di passione fa unasardafralenuvole e si può fare il punto di questo inizio di tempo passato sulla costa ovest. Perché, alla luce di questa esperienza e del senso del progetto c’è un fatto che consente di discernere le vere proposte di sostanza: sono proiettate al lungo periodo, sono consapevoli della complessità delle dinamiche dello sviluppo, interpretano lo spirito dei territori che abitano e che ricercano. Lucia, se vi va potete leggere sui suoi social le storie di Altrovoest, come tutti i narratori, imprenditori, contadini e pescatori che ho incontrato non sono storyteller. Raccontano una storia che conoscono e che si può riconoscere. E agiscono per renderla possibile.
La seconda e ultima tappa dell’esperienza di Altrovest qui nei prossimi giorni…