Quando arrivo in città c’è una cosa che spesso mi intimorisce; non poter affondare le mani nella terra. Sentire la terra e guardare bene con gli occhi e con le mani come è fatta e cosa ci sta dentro. Non potere seminarci o piantare nulla. Mi rattrista perfino vedere l’acqua piovana che scorre sull’asfalto e sul cemento senza entrare nella terra, scivola via e basta.
Per questo mi interrogo sul futuro della città e della campagna. Luca de Biase racconta bene oggi sul cartaceo del Sole24, qui il link, un possibile futuro della città. È uno scenario importante, non lo riassumo quì perchè l’originale è da leggere e imparare bene; da speranza a patto che si riconosca che ci sono molte altre comunità che stanno e staranno lontane dalla città. Non per superbia o diffidenza ma per una ricerca diversa. Per questo credo che uno dei punti importanti per lo sviluppo della città e della campagna sia appunto quello di costruire un patto tra esse. E uso campagna propio nella definizione anche se un po’ datata della Treccani: “Estesa superficie di un terreno aperto, fuori del centro urbano; il termine è correntemente riferito a territori di pianura o di bassa collina, corrispondenti in genere all’antico contado, occupati da colture o anche da pascoli o boscaglia, con case sparse…” Ma anche da montagne, che con l’inalzarsi delle temperature diventano sempre più campagna.
Se è vero che c’è un mondo della città dove vivono relazioni e cultura non è li che c’è l’unica comunità. Nella città, ormai fagocitata dal digitale, non bene comune, spesso più della relazione si sviluppa la connessione. La città si sta formando nel metodo dei social network dove la relazione è un’amicizia benevola che ti da quel calore connettivo senza contenuto. Una relazione che sta in tutti i posti e in nessun luogo. Cosi la bellezza dell’empatia diventa un network di legami amichevoli, convenevoli e finanziari. Ma la relazione è un’altra cosa. È un esistenza solidale con delle fondamenta importanti come la lealtà, la resilienza, la misericordia e la reciprocità. Per questo non credo basteranno le smart city e la AI. Per questo credo sia davvero importante come fa Luca de Biase interrogarsi per restituire alla città il suo senso di polis e di civitas, rispetto a quello di urbs e asty. Una città è l‘insieme di regole, di costumi, di culture e competenze e di norme sociali che definiscono il senso e ne denotano la natura. E’ provare a stare insieme. E se come dice Carlo Ratti c’è : una «città tanto più umana, capace di sentire attraverso sensori digitali, quanto più sensibile rispetto ai bisogni dei suoi cittadini» appena fuori dalla città c’è una campagna con i suoi mille altri sensori: sono le piante con le loro foglie e le loro radici, c’è il terreno con i suoi minerali, c’è il sottosuolo con la sua straordinaria produzione di proteine, e ci sono i funghi con la loro rete micorrizica. E anche in queso caso c’è qualcosa di diverso della connessione tra uomo e uomo, tra uomo e digitale. C’è una relazione tra uomo e natura. Una relazione tra esseri intelligenti magari non artificiali o, meglio, sintetici. E non è una cosa alternativa più o meno importante, è una cosa diversa. Anche da questa relazione, sempre più importante e sempre più ricercata dalla scienza, possiamo trovare le ragioni della nostra vita in relazione con il pianeta. La città, la campagna, i luoghi dove stare e dove abitare in un incontro con l’altro che non ha un fine e non ha fine. È gratuita di amore e di tempo. Di scambio di parole e poi, un po’ dietro, di dati.