Negli ultimi 20 anni abbiamo edificato, migliorato e continuiamo a sviluppare la più grande città del mondo. Internet o meglio il Web o meglio ancora i social network. Ma così come siamo riusciti a creare delle enormi piazze virtuali molto frequentate, così non ci riusciamo più con quelle reali. Mentre quelle virtuali diventano sempre più grandi. Così grandi da assorbire le città, i mercati e le piazze, che si stanno svuotando, di umanità, di relazioni, di scambi, perfino di istituzioni. Il Web è una grande idrovora che tutto prosciuga, non lascia nemmeno i cadaveri. E così i grandi negozi virtuali fanno sparire quelli delle vie e delle piazze, i luoghi di discussione e di decisione si spostano su problematiche e spesso incustodite piattaforme partecipative e le relazioni diventano gli amici o i follower da seguire nei social network.
L’umanista Ralf Dahrendorf scriveva che i primi mercati nelle città medievali si tenevano nella piazza: da una parte c’era la chiesa e dall’altra c’era il palazzo del principe, o del Comune; il mercato era un luogo di scambio che avveniva all’ombra di un potere normativo e simbolico come quello della Chiesa, e di un potere politico e coercitivo come quello dello Stato, del Comune, della Signoria. Il mercato non può funzionare senza che ci siano valori che tengano assieme le comunità politiche, e senza un potere politico che crei le condizioni per il loro pieno sviluppo.
Per le piazze virtuali vale lo stesso. Non ci sono né valori né le condizioni etiche e politiche che possono aiutare. Nelle piazze virtuali manca soprattutto la persona, c’è solo il suo derivato, l’origine della parola persona. La maschera teatrale, phersu in etrusco, da cui deriva probabilmente la parola persona. Sul Web ci sono solo le nostre maschere; e mentre nella vita reale la phersu è diventata evoluzionisticamente persona con un corpo e una coscienza in relazione spesso di reciprocità con l’altro, con il diverso, sul Web il percorso è stato all’inverso e i corpi e le coscienze si sono annichiliti, evaporati con una metempsicosi anch’essa virtuale che li ha trasformati nuovamente in maschere, questa volta da tragedia.
Da sempre la relazione tra le persone costituisce l’ambiente dell’uomo. Ha costituito anche le città. Ma cos’è la città? è un insieme di case, mura e strade, una urbs o asty in greco oppure è un’ insieme di persone, è una maniera per cui le persone provano a vivere bene insieme, una civitas, una polis. Gli edifici e le strade denotano una città ma non la caratterizzano, non la connotano. E cosi anche i dati, le app, le telecamere e i tecno entusiasti del momento, denotano una città ma non sono la sua anima e la sua coscienza. E’ una narrazione iniziata da Diderot nell’Encyclopedie che definisce la città come un insieme di case e strade, portata avanti dagli urbanisti agli inizi del ‘900 e che arriva fino ai nostri giorni con le smart city. I social network sono solo mura e palazzi della città virtuale in cui ci muoviamo cosi disinvolti. Ma è la civitas di un luogo, l’insieme di regole, di costumi e di norme sociali che definiscono la città e ne denotano la natura. Non gli basta la relazione con le cose, con l’ambiente naturale, e neppure la relazione di parentela. C’è una relazione con i propri simili, interdividuale, intesa come relazione interpersonale con scambi di conoscenze ed esperienze, di cui ha bisogno la persona. E’ l’empatia e caratterizza il vivere sociale. L’identità dell’uomo si costruisce nella relazione sociale, che include lo scambio dei prodotti della propria attività, la condivisione delle proprie vedute, nonché delle forme di divertimento, i progetti da attuare in collaborazione. Ogni volta che entriamo in relazione con qualcuno nasce un nuovo io. La città, la piazza, il sagrato erano luoghi ideali per l’evoluzione dell’empatia. Tutto questo invece nelle agorà virtuali e nei mercati capitalisti si perde anche se non ce ne accorgiamo. Perchè siamo piacevolmente avvolti non solo dalle amicizie abusate dei social ma da quella della pubblicità, dei supermercati, dei siti nati con il concetto di ospitalità gratuita e trasformati poco dopo in vere e proprie catene di finta ospitalità dove si dovrebbe diventare amici anche tra turisti e albergatori tra stellette, like e commenti. L’amicizia con gli autisti sfruttati delle piattaforme di affitto di auto con conducente o di condivisione dell’auto. Un’amicizia benevola che ti da quel calore connettivo senza contenuto. Un’amicizia che sta in tutti i posti e in nessun luogo. Quell’amicizia per cui non ci sono più nemmeno i nemici con cui prendersela e contro cui varrebbe ancora la pena di combattere, perché ormai nessuno qui combatte più. E proprio ora sarebbe il momento di farlo. Un mondo pieno di comunità conviviali e fittizie, comunità prefabbricate, di comunità emotive simulate dove ci fanno credere di essere davvero amici, stretti tra le infinite chat in affetti collettivi. Tanto da farci credere che l’individualismo sia diventato comunità, la competizione cooperazione e tutte le cose difficili user friendly tanto cara alle interfacce dei nostri amichevoli smartphone. Così la bellezza dell’empatia diventa un network di legami amichevoli, convenevoli e markettari. Ma l’amicizia è un’altra cosa. E’ un’esistenza solidale con delle fondamenta importanti come la lealtà, la resilienza, la misericordia, il civismo e la reciprocità. Tutto il resto è spettacolo fatto di maschere, di phersu, di altre persone. Continua…