Lo spazio pubblico, la sfera dove si sviluppano gli interessi comuni, non è mai una realtà precostituita. Lo spazio pubblico è il posto dove si prova insieme a risolvere i problemi, dove il conflitto si trasforma in dibattito, dove la responsabilità della comunità è capace di costruire il senso comune, dall’autogoverno alla globalizzazione. Lo spazio pubblico è la raccolta delle opinioni della volontà e dell’intelligenza collettiva. E è del tutto evidente che lo strumento principale a cui fa riferimento lo spazio pubblico è l’infosfera, questa massa ormai informe fatta dai social network e dai media tradizionali. Ma in un’infosfera dove abbiamo una sovrapposizione di monologhi, dove si parla, si scrive, si commenta senza alcuna volontà di capirsi, dove tutto è frammentato e polarizzato, gli argomenti che emergono non possono che essere selettivi e individualistici, cosi come le scelte che, i proprietari dei vai Twitter e Facebook, fanno. Noi, la comunità, la politica, abbiamo permesso che la discussione intorno al bene comune finisse dritta e solo nei social network con i vecchi media spesso dietro a copiarne le discussioni. Abbagliati abbiamo lasciato fare alla luccicosa Silicon Valley, mentre l’Europa solo adesso tra tutela dei dati e delle persone e nuovo Digital Services Act timidamente ma in maniera importante sta provando a reagire. Cosi tutti i meravigliosi dibattiti tra diritti umani e sovranità, tra populismo e popolarismo, tra liberalismo e democrazia , tra buono e il giusto sono finiti nel tritacarne del modello imprenditoriale dei social e di chi li ha legittimamente (almeno negli Stati Uniti) sviluppati. Torna sempre Lessig con il suo, Code is law, il codice con cui sono sviluppate le piattaforme determina il comportamento che, su queste, la comunità adotta. Così si cristallizza l’infosfera e si cristallizza anche tutto quello che gli sta intorno compresa la sfera, lo spazio pubblico. I social e i media tradizionali, tra una società dell’individualismo e il metodo con cui sono costruiti non servono più a nulla, non a risolvere attraverso il confronto e il dibattito i fatti che riguardano la società. La storia che ci raccontiamo sui social finisce per non essere la storia che immaginiamo, non è la storia che vorremmo. Il futuro sui social rimane una cosa che immaginiamo ma che per l’ambiente in cui proviamo a costruirlo rimane indisponibile, quasi sempre in maniera frustrante. In questa infosfera non è possibile ne immaginare il futuro ne l’avvento. Questi social non devono essere rivoluzionati, nemmeno normati, non è la rivoluzione che dobbiamo fare. C’è bisogno di un’ evoluzione dello spazio dove ci relazioniamo ormai non solo digitalmente. Dobbiamo riuscire a immaginare una nuova infosfera perchè è solo da una sua evoluzione che riusciremo a scrivere una storia aperta a quella storia aperta che noi siamo.
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