Non è in crisi la democrazia ma uno dei suoi modelli fatto di istituzioni, di partiti e dal popolo. Si tratta di mutare, eliminare e aiutarsi.
Un modello basato sull’intermediazione politica e economica per cui i cittadini affidavano la parte politica del loro essere ai partiti. Questi a loro volta erano gli intermediari e i costruttori delle istituzioni. Il modello delle intermediazioni ora è in crisi come entrano in crisi tutti i mondi e tutti i modelli che devono gestire grandi variazioni, succede a quelli fisici, quelli matematici e a quelli naturali. Poi l’adattamento, che è nel futuro, con la mutazione ristabilisce l’ordine.
Nel caso della democrazia i cambiamenti sono sociali, tecnologici, economici e sacri. Direi che è normale un collasso, soprattutto se nel modello non sono previste innovazioni radicali per vivere e migliorarsi. Pare che questo modello abbia teso solo alla sopravvivenza ma spesso non basta per costruire il futuro. Se siamo arrivati a questo punto non incolperei la politica, internet, l’economia, le fake news, i vecchi media, la tecnologia, le religioni o l’individualismo. E’ come dare la colpa agli altri ma non a noi.
La questione della consapevolezza e della responsabilità umana nella gestione di un territorio e della comunità che lo abita e modella i beni comuni e quelli collettivi è invece centrale tanto da iniziare a provare a ridefinire il principio di sussidiarietà, ancor più adesso dove l’autonomia è alla ricerca di senso dalla Catalogna, al Kurdistan fino ai Rohingya.
Stranamente per la laicità della democrazia troviamo aiuto nell’ordinamento canonico; qui nascono i primi elementi della sussidiarietà che significa prestare aiuto, offrire protezione. Nella primavera del 1931 papa Pio XI scrisse l’enciclica “Quadragesimo Anno” e introdusse in maniera esplicita il principio di sussidiarietà. Da notare che già quasi 100 anni fa si parlava del vizio dell’individualismo come uno dei grandi mali.
“E quando parliamo di riforma delle istituzioni, pensiamo primieramente allo Stato, non perché dall’opera sua si debba aspettare tutta la salvezza, ma perché, per il vizio dell’individualismo, come abbiamo detto, le cose si trovano ridotte a tal punto, che abbattuta e quasi estinta l’antica ricca forma di vita sociale, svoltasi un tempo mediante un complesso di associazioni diverse, restano di fronte quasi soli gli individui e lo Stato. E siffatta deformazione dell’ordine sociale reca non piccolo danno allo Stato medesimo, sul quale vengono a ricadere tutti i pesi, che quelle distrutte corporazioni non possono più portare, onde si trova oppresso da una infinità di carichi e di affari.” e ancora ”…Ma deve tuttavia restare saldo il principio importantissimo nella filosofa sociale: che siccome è illecito togliere agli individui ciò che essi possono compiere con le forze e l’industria propria per affidarlo alla comunità, così è ingiusto rimettere a una maggiore e più alta società quello che dalle minori e inferiori comunità si può fare. Ed è questo insieme un grave danno e uno sconvolgimento del retto ordine della società; perché l’oggetto naturale di qualsiasi intervento della società stessa è quello di aiutare in maniera suppletiva le membra del corpo sociale, non già distruggerle e assorbirle.”
Due le fondamenta: definisce il carattere sussidiario delle strutture religiose rispetto a quelle laiche e quello dei pubblici poteri rispetto all’attività delle formazioni sociali naturali. Era il 1931.
E dopo il diritto canonico anche quello laico italiano si accorge della sussidiarietà menzionandola blandamente nell’articolo 118 della Costituzione mentre quello europeo, più vigoroso, nel 1985 introduce meccanismi di sussidiarietà che provano a modificare l’instabile modello democratico su cui poggiamo. La Carta europea delle Autonomie locali dispone che l’esercizio delle responsabilità pubbliche deve incombere di preferenza sulle autorità più vicine ai cittadini. Nessuna autorità può intervenire in materie e compiti che meglio possono essere adempiuti al livello più vicino alle autorità inferiori. In pratica la Carta dice che devono essere i cittadini e istituzioni locali a gestire i beni del territorio in cui vivono.
L’Europa per prima, figlia degli stati costituenti ma potenzialmente madre, riconosce le malattie dei figli e capisce che il modello democratico deve essere innovato; pena la morte dei figli nell’entropia democratica che purtroppo oggi conosciamo.
L’Italia allora figlia che fa finta di ascoltare adotta la Carta europea delle Autonomie nel 1989 con la legge Bassanini (n°430 ): le funzioni ed i compiti amministrativi devono essere conferiti in modo tale, che le responsabilità pubbliche siano attribuite all’ autorità territorialmente e funzionalmente più vicina ai cittadini interessati, quindi principalmente a Comuni, Province e Comunità montane, secondo le rispettive dimensioni territoriali, associative ed organizzative. Ma appunto in Italia questa legge fu ascoltata per il bisogno di pochi. I tedeschi che sono sempre un po’ avanti fecero invece del principio di sussidiarietà uno degli elementi fondanti dello stato federale. Il Land più debole è aiutato da quello più forte e si cerca di tornare in equilibrio.
Nel 1990 Elinor Ostrom da un spinta di gestione alla sussidiarietà e esce con “Governare i beni comuni”; credo che gli autori della Carta dell’Autonomia avessero seguito il suo prezioso e fondamentale lavoro. I suoi principi ormai sono fortunatamente famosi, la sintesi è che l’uomo che abita e conosce il suo territorio denso di beni comuni e collettivi e a sua volta bene comune trova dei modelli di gestione migliori di quelli delle istituzioni centralizzate.
Un lungo preambolo ma per me importante per capire e fare ordine e siamo al 2017 tra Trump, una moltitudine di Catalogne, l’intelligenza artificiale, la globalizzazione, il clima, Uber, le guerre e Ethereum.
Ethereum è una piattaforma che poggia su tecnologia blockchain quella famosa per via della cripto moneta speculativa Bitcoin. Blockchain è un algoritmo che può gestire la tua fiducia nei confronti degli altri. Si basa su blocchi di catene, registri, minatori e altre parole che complicano ancor più come spiegarla. Ma il principio è semplice. La fiducia non viene stabilita da nessuna istituzione, da nessun intermediario. E’ un meccanismo cosi potente che perde di significato anche la disintermediazione. Il tuo voto, la tua partecipazione, il valore del tuo lavoro è gestito con la tecnologia direttamente da te e dall’altro sia fisicamente che virtualmente. Nessuna banca, nessun partito, nessuna istituzione. E questo si può applicare anche a un territorio e a chi lo abita. Nessuna intermediazione tra una comunità e lo Stato. Se i beni comuni e la comunità che li gestisce stanno nel registro blockchain non serve null’altro. Certo non servirebbe più nemmeno definire i rapporti tra Stato e comunità autonome decentrate, tanto che nel mondo Ethereum si parla etnograficamente di DAO, decentralized autonomous organization, organizzazione autonoma decentralizzata.
Venturi e Zandonai bene scrivono in Tempi Ibridi: ”Oggi il reciprocare rinasce intorno a una rinnovata capacità di riconoscere la comunità come mezzo per prendersi cura di sé e come esito di economie che fanno della produzione e dello sviluppo locale “fatti sociali”. Sviluppo locale e i fatti sociali che sono i risultati delle buone idee e dell’innovazione che tanti stanno provando a introdurre potrebbero crescere senza intermediari in Ethereum. E cosi la gestione dei beni comuni e collettivi.
Siamo alla ricerca di un nuovo modello di democrazia che permetta agli uomini di gestire la terra in modo responsabile e consapevole. Si può iniziare dalla profetica enciclica “Laudato Si” di Francesco. Nessuno modello è stato scritto, tantomeno perfetto, ma c’è bisogno di una costante ricerca, di nuovi passi come scrive Zappini, per avvicinarsi a nuovi metodi per ridare speranza alla democrazia a chi ci crede e a chi la abita. Sarebbe bello raccoglierli, per chi ci sta.